Il riferimento all’interesse del creditore può sembrare ridondante per due ordini di motivi:
1) la finalità essenziale del rapporto obbligatorio consista nel far conseguire al creditore l’oggetto del suo diritto;
2) se si ammette che il credito è un diritto, l’unico interesse che può assumere rilevanza giuridica è già ricompreso nell’oggetto del diritto senza bisogno di un’apposita menzione. La norma di cui all’art. 1174 non menziona soltanto l’interesse del creditore ma afferma anche che l’interesse può essere non patrimoniale. In tal senso la disposizione assume un valore classificatorio ed esplicativo: vale ad includere nell’ambito dell’obbligazione anche prestazioni, di per sé economicamente valutabili, che consentono di soddisfare bisogni culturali o morali del creditore.E’ dubbio che un significato più pregnante possa attribuirsi all’interesse del creditore, se si interpreti l’indicazione legislativa quale criterio distintivo tra i rapporti “non giuridici” ed i rapporti giuridici seppur gratuiti.
I primi sarebbero contraddistinti dal disinteresse, già ravvisabile per il fatto che sia oggettivamente incontestabile nelle circostanze del caso un atteggiamento diretto a mantenere il rapporto al di fuori del controllo del diritto.Nei secondi l’interesse a ricevere la prestazione e il corrispondente impegno nell’adempierla permarrebbero anche in assenza di un corrispettivo in denaro. L’ordinamento ha alcuni parametri per attribuire rilievo giuridico a un interesse quale oggetto del credito; e l’interprete tiene conto nell’applicarli della specificità del caso.
L’interesse rinvia all’accordo e l’accordo richiama l’idea dell’intento giuridico positivo, diretto ad assoggettare il rapporto, nei casi di dubbia qualificazione, ad un vincolo legale specifico, purché resti ferma la valutazione del rilievo oggettivo che l’obbligo assume alla stregua dei generali canoni fissati dall’ordinamento.In diversa linea di analisi della struttura del rapporto obbligatorio, all’interesse del creditore è stato attribuito un rilievo significativo soprattutto nel senso di escludere che siano ravvisabili rapporti obbligatori nei casi in cui non sia possibile procedere ad una sicura imputazione giuridica del credito.
La valutazione concreta dell’interesse del creditore,nel confronto con la valutazione legale,tipica o astratta,può assurgere dunque il significato con riguardo al contenuto della fonte:”l’art.1174 ha trasferito sul terreno dell’obbligazione un requisito che opera sul terreno delle fonti ed,in particolare,sul terreno del contratto”;ovvero,quando il rapporto è ormai sorto con riguardo:
1) all’esercizio del credito;
2) alla misura della tutela dell’interesse durante lo svolgimento del vincolo;
3)alla persistenza o all’estinzione del rapporto purché operi come causa di sopravvenuta inefficacia “della fonte generatrice dell’obbligazione”.
Nel primo ordine di casi il legislatore presuppone che il contratto sia valido a condizione che sia diretto al perseguimento di “interessi meritevoli di tutela”. Ne deriva anche la necessaria “apprezzabilità” giuridica dell’interesse del creditore.Il nesso con la rilevanza in concreto dell’interesse del creditore è eventuale,non necessario. E trova conferma sia nell’opportunità di non separare l’analisi del rapporto dal fatto costitutivo sia l’esigenza di una distinzione concettuale tra i due momenti delle valutazioni dell’interprete.
L’interesse apprezzabile è parso talvolta come la chiave che il giurista ha usato tanto per sciogliere l’enigma della giuridicità del rapporto, nel duplice senso della sua rilevanza sul piano della semplice cortesia o ancora della mancanza di “serietà” del vincolo, tanto per controllare nel merito l’operazione contrattuale, anche in presenza di ipotesi in cui non sia ravvisabile l’illiceità del contratto. I criteri di valutazione sarebbero tratti in tal caso dall’intero sistema di valori e di interessi di cui l’ordinamento è espressione.
Sta di fatto che la teoria dell’apprezzabilità dell’interesse è stata posta alla base di costruzioni ambigue o di scarso rilievo nella pratica:l’apprezzamento sociale non si è mai appuntato sulla congruità del mezzo giuridico rispetto allo scopo pratico;ma si è quasi sempre risolto nella semplice negazione moralistica del “capriccio individuale che non dà conto di sé. Nel secondo ordine di casi, il problema non concerne la nascita dell’obbligazione ma il limite di legittimità all’esercizio e alla tutela del credito.
Il controllo generale sull’esercizio del credito è affidato alla regola della correttezza, che è applicabile in mancanza di previsioni specifiche(1175). In tale linea è stata considerata anche la possibilità di chiedere lo scioglimento del rapporto contrattuale, per il fatto che l’inadempimento del debitore sia da considerare di scarsa importanza con riferimento all’interesse del creditore. L’ulteriore aspetto in cui il problema può essere preso in considerazione ha per oggetto il difetto sopravvenuto dell’interesse del creditore e i limiti in cui tale evento può influire sull’esistenza del rapporto.
La regola del secondo comma dell’art.1256, nel prevedere che l’obbligazione si estingua se l’impossibilità temporanea della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore perduri fino a quando il creditore non abbia più interesse a conseguirla in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, dimostra che la valutazione dell’interesse non è integralmente rimessa all’arbitrio soggettivo del creditore, ma deve essere possibile in base a parametri oggettivi, secondo quella linea continua tra titolo, contenuto della prestazione e delimitazione dell’obbligo,a cui il codice civile spesso rinvia in maniera espressa o implicita.
Con riferimento alla risoluzione dei contratti con prestazioni corrispettive una tale direttiva generale del sistema trova conferma nel caso in cui la prestazione attesa dal creditore sia divenuta parzialmente impossibile. Il creditore può recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.(1464-2 comma). La conferma della rilevanza dell’automatico venir meno dell’interesse del creditore soltanto quando sia possibile accertarne gli estremi in base al titolo si trae dall’art. 1457, poiché la risoluzione di diritto del rapporto presuppone che l’essenzialità del termine, oltre il quale il creditore non ha più interesse a ricevere la prestazione, possa ricostruirsi in base all’interpretazione del contratto.
La rilevanza oggettivamente apprezzabile del venir meno dell’interesse del creditore dev’essere posta a confronto con le numerose prese di posizione della giurisprudenza in materia di interruzioni del lavoro a causa di scioperi a singhiozzo o di condizioni di “morbilità eccessiva” dei lavoratori,quali fatti che i giudici hanno considerato rilevanti non già in via automatica ma nel quadro di altre regole di carattere pur sempre generale: tali il “motivo legittimo” di licenziamento ovvero il “motivo legittimo” di rifiuto della prestazione residua, secondo la norma dell’art. 1206.
Quanto al raggiungimento del risultato atteso dal creditore per via diversa dall’adempimento, esso può aversi, oltre che in alcune discusse ipotesi legali, in virtù di fatti naturali o dell’uomo i quali, piuttosto che rendere impossibile la prestazione, la rendono ormai inutile. In tali casi ci si domanda se siano applicabili i criteri relativi alla distribuzione del rischio relativi alle disposizioni sull’impossibilità sopravvenuta, con i correttivi delle regole sull’adempimento parziale, sebbene si tratti di figure non sempre ricomprese tipicamente nel quadro dell’impossibilità estintiva che comporti la mancata soddisfazione dell’interesse del creditore.
L’interesse che sta a fondamento del rapporto e a misura della tutela del credito ha gli stessi confini che sono propri di tutte le clausole di contenuto ampio. Un primo criterio di delimitazione dovrebbe trarsi già dall’art. 1174, la dove si fa riferimento alla necessità del collegamento con una prestazione che sia suscettibile di valutazione economica(abbia, cioè, natura patrimoniale).