È una aggiunta inutile, perciò, quella in cui cade la nostra Cassazione quando intende la connotazione di ingiustizia nel senso che il danno debba essere arrecato contra ius e non iure, che il danno debba derivare cioè dalla lesione della sfera giuridica altrui perpetrata mediante una condotta antigiuridica.
{Vedi ad es. Cass. SU 174/1971, caso Meroni.
Già Gian Pietro Chironi parlava di “dottrina tradizionale” a proposito della connotazione del fatto illecito come condotta sine iure e contra ius.
E pure la Relazione al codice associa questi due profili nell’ingiustizia.
Nella formulazione originaria contra ius esprime il contrasto coi princìpi ovvero un principio dell’ordinamento, non iure esprime unicamente l’assenza di una giustificazione}.
La qualificazione non iure della condotta non può considerarsi costitutiva.
Il codificatore del 1942, diversamente da quello del BGB, ha identificato l’ingiustizia del danno con la lesione della sfera giuridica altrui e non ha aggiunto il requisito dell’antigiuridicità della condotta.
Su questo versante la Cassazione ha ancora di recente (SU 500/1999) contribuito ad aumentare la confusione, affermando la risarcibilità del danno derivante dalla lesione di interessi legittimi.
La Suprema corte accoglie l’idea che il sintagma “danno ingiusto” sia una clausola generale, ma invece di dare a questo assunto il valore significante che in dottrina vi attribuì Stefano Rodotà, di lesione di una situazione giuridica rilevante, dice ingiusto “il danno arrecato non iure”.
Questo modo di definire l’ingiustizia va incontro a serie obiezioni.
Anzitutto, sul piano della pura interpretazione del 2043 identificare l’ingiustizia col difetto di una causa di giustificazione significa trasferire tale qualificazione dal danno come elemento oggettivo della fattispecie (al quale la legge la appone) alla condotta (alla quale è riferita la mancanza di una causa di giustificazione), e identificare l’ingiustizia con l’antigiuridicità.
In secondo luogo, vuol dire accollare all’ingiustizia la funzione di far emergere l’antigiuridicità sul piano della lettera della legge.
Una causa di giustificazione è necessaria quando senza di essa la condotta sarebbe antigiuridica, ma ciò presuppone che la persona che si assume offesa sia titolare di un interesse giuridicamente rilevante.
La Corte ritiene di superare questa difficoltà nel momento in cui sostiene che il difetto di una causa di giustificazione (non iure) si risolve nella lesione di un interesse rilevante per l’ordinamento.
E qui affiora una vera e propria inversione logica: si afferma che un interesse è giuridicamente rilevante in quanto chi lo offende non è giuridicamente legittimato a farlo, mentre è il contrario: tale soggetto non è legittimato proprio perché l’interesse che esso si trova ad offendere è tutelato dalla legge.
Per altro verso, la qualificazione non iure, significando l’antigiuridicità della condotta, non può essere ascritta all’ingiustizia nel momento in cui quest’ultima è posta ad elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità mentre di questa non è costitutiva l’antigiuridicità, bensì elemento impeditivo la non antigiuridicità.
Vi è un’ipotesi nella quale l’antigiuridicità della condotta rileva in assenza dell’ingiustizia, onde esse coincidono: si tratta dei casi in cui il danno non è qualificato dalla lesione di una situazione soggettiva e la condotta dell’agente non costituisce esercizio di un diritto, ma queste sono fattispecie legali.
Se fosse vero quello che dice la Cassazione, e cioè che l’ingiustizia equivale all’assenza di una causa di giustificazione, poiché l’ingiustizia è elemento costitutivo della fattispecie del 2043, il danneggiato, sul quale grava l’onere di provare gli elementi costitutivi (secondo quanto dispone il 2697), dovrebbe provare che l’autore della condotta ha agito in assenza di cause di giustificazione.
Per la Corte alla fine l’ingiustizia del danno è “contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante”: allora riemerge la qualificazione contra ius come quella che in ultima istanza, e correttamente, esprime l’ingiustizia, senza che questo significhi giungere al risultato temuto dalla Cassazione, di un possibile ritorno all’identificazione dell’ingiustizia con la lesione del diritto soggettivo.
L’ingiustizia è lesione di una situazione giuridicamente rilevante, e questo significa l’espressione contra ius, che non rappresenta più (se mai lo ha fatto) la lesione del solo diritto soggettivo.
L’espressione contra ius significa lesione di un interesse che la legge eleva a situazione soggettiva nel momento in cui lo qualifica, cioè lo prende in considerazione rendendolo meritevole di tutela.