Si è dato carico altresì una sentenza della Cassazione di rispondere alla sollecitazione fortissima di interpretare in chiave risarcitoria, e quindi valoristica, anche l’obbligazione legale di interessi, che è la forma tradizionale di tutela dell’obbligazione pecuniaria. La sollecitazione è di riferire anche l’obbligazione di interessi alla grande famiglia delle obbligazioni risarcitorie. In questa prospettiva si tende a recuperare una nozione di interesse quale frutto civile prodotto dall’uso del danno che altri, legittimamente o illegittimamente, ne abbia. Il danno subito dal creditore non potrà essere stimato che alla stregua dell’utilità reale che la somma tempestivamente pagata avrebbe ad esso fruttato con riferimento alle comprovate possibilità del creditore di farla fruttare.
Ma una tale ipotesi si rivela difficilmente sostenibile. Anche volendo restare sul terreno del danno subito dal creditore, l’ostacolo più corposo è rappresentato da una “vuluntas legis” che, nel disporre il pagamento di interessi e le regole conseguenti (v. tasso legale), ha dettato una disciplina compiuta in tema di danni presuntivi relativi all’inadempimento di obbligazioni pecuniarie. Il predicato di interesse compensativo potrebbe essere in grado di adattarsi ad ogni tipo di interesse, ove questo venisse definito, senza troppe pretese, come “un pagamento periodico da parte del debitore al creditore come compensazione per l’uso che il debitore ha fatto della somma del creditore”.
Una lettura abbastanza recente del sistema composito e non del tutto lineare risultante dalla nuova normativa sui danni nelle obbligazioni pecuniarie (1224) ha indotto a scorgere nell’obbligazione legale di interessi e in quella di maggior danno due regole diverse, tra di loro alternative, nel senso che il creditore avrà la scelta tra il diritto agli interessi legali e quello al risarcimento del danno secondo le regole generali sulla responsabilità contrattuale. Questa interpretazione rappresenta il punto di maggior distacco rispetto ad ipotesi tendenti a recuperare in senso valoristico l’obbligazione legale di interessi.
In tale prospettiva la regola sulla produzione di interessi si differenzia nettamente da quella sul risarcimento dei danni e non sarà allora possibile che la determinazione dell’interesse venga resa funzionale alla estimazione del danno, pur valutato, questo danno, nei termini dell’utilità reale perduta dal creditore. Alla progressiva astrattizzazione di tale obbligazione ha corrisposto un sempre più marcato controllo dell’ordinamento nella misura degli interessi (1284).
La tesi non nuova del denaro quale mezzo di scambio ossia strumento destinato a fare da medium nello scambio di merci, ripropone gli indirizzi liberali in tema di svalutazione monetaria sul pagamento dei debiti. Il significato di danno del deprezzamento monetario è appunto connesso al fatto di ricevere moneta che non è più depositaria o rappresentativa del medesimo valore che essa aveva in partenza. Una impostazione enfatizza più del dovuto la funzione del denaro quale mezzo di scambio, ma ne trascura altra che forse è di interesse maggiore per il giurista e cioè quella di fungere da mezzo di pagamento dei pagamenti differiti. Una tale riflessione non deve apparire troppo distante dal problema che ci interessa.
Vengono in mente collegamenti più o meno immediati con esso. Basterebbe rammentare che il principio nominalistico si afferma storicamente nei codici con riguardo a debito di restituzione di somme. Inoltre la connessione tra il principio nominalistico e la funzione del denaro quale mezzo di pagamento trova un riflesso nella concezione stessa di denaro che, in quanto mezzo di pagamento, tende a sottrarsi agli stessi termini di scambio e a diventare esistenza autonoma del valore di scambio. In un’ottica prevalentemente legale si potrà osservare che la connessione tra il principio nominalistico e funzione del denaro quale mezzo di pagamento è ancora dovuta alla scarsa praticabilità di un concetto di denaro sul quale, al tempo del pagamento, gravi tutta l’incertezza della determinazione del potere di acquisto della somma offerta in pagamento.