Da tempo, è stata acquisita la consapevolezza della possibilità di garantire, nel senso ampio del termine, taluni interessi creditori. Ciò ha indotto ad elaborare figure nuove, difficilmente riconducibili ad unità soprattutto con riferimento a quelle fattispecie caratterizzate da una spiccata autonomia rispetto al rapporto principale. Risulta, così, apprezzabile il tentativo di chi, evitando tentazioni concettualistiche, ritiene che «la prestazione di garanzia» – e non la funzione di garanzia – sia ciò che consente di considerare unitariamente figure causalmente distinte. Tale conclusione evidenzia l’opportunità di rifuggire da facili generalizzazioni e denota la necessità di rinvenire la disciplina propria delle singole garanzie con particolare attenzione agli interessi concretamente coinvolti: essa, tuttavia, finisce comunque per ricercare elementi idonei ad unificare negozi distinti.
È stato infatti osservato che la nozione di «prestazione di garanzia» non fornisce all’interprete indicazioni utili per individuare la disciplina della singola figura. Intesa in senso lato, quale assunzione di rischi a,tipici derivanti dalla frustrazione del rapporto principale anche se dovuta a fattori diversi dall’inadempimento del debitore ed a questi non imputabile, detta prestazione sarebbe ravvisabile nelle garanzie del credito, in quelle autonome e nei contratti di assicurazione, con la conseguente incapacità a fornire risposte definitive per determinare la disciplina del concreto rapporto.
In un sistema ove convivono garanzie satisfattorie e no, garanzie caratterizzate da una spiccata accessorietà e garanzie c.d. autonome, garanzie tipiche ed atipiche, è necessario considerare, superando i limiti posti dall’utilizzazione del metodo tipologico, la funzione del singolo negozio per individuare il modello e quindi la disciplina piu rispondente agli interessi sottesi.
È sempre piu diffuso il ricorso al metodo c.d. tipologico che, a differenza di quello c.d. concettualistico, propone una peculiare rappresentazione della realtà. La categoria del tipo si pone, infatti, contemporaneamente in modo chiuso ed in forma aperta, quindi maggiormente sensibile alle esigenze della -prassi.
Le norme giuridicamente rilevanti e previste per i contratti tipici restano cosi applicabili, in via diretta, piuttosto che analogica e, compatibilmente con i valori da esse espressi, con l’affare concretamente realizzato dagli autori del negozio. Pare da condividere l’esortazione di chi ha suggerito di tentare una ricostruzione sistematica degli effetti tipici dei negozi, prescindendo dalle definizioni contenute nel codice, applicando direttamente al contratto atipico le norme previste per disciplinare gli effetti dei negozi tipici. Siffatta conclusione pare suffragata anche dalla considerazione, recentemente espressa, secondo cui il vero dibattito intorno all’atipicità dei contratti non si risolve creando nuove forme contrattuali, ma fissando i limiti di movimento all’interno di figure già note.
In tale prospettiva assume una nuova colorazione pure la tecnica dell’ analogia che, se intesa nel senso tradizionale, postula l’utilizzazione della tecnica della sussunzione; essa, infatti, consentirebbe l’applicazione di una norma ad una fattispecie per la quale non è stata prevista. Il procedimento analogico, se inteso quale momento utile o essenziale per la determinazione della disciplina del fatto concreto, si può prospettare quale strumento per la diretta applicazione di una norma, anche se dettata per altra fattispecie, in ossequio ai valori che norma e fatto giuridicamente rilevante concorrono a determinare. Si può, quindi, convenire con chi, sia pure per diversa via, afferma che «la qualificazione di un negozio come atipico ha mera rilevanza descrittiva ed è quindi priva di significato normativo.
Definire atipico un rapporto significa soltanto che esso non è riconducibile, in tutto o in parte alla definizione tipica che il legislatore attribuisce a taluni rapporti»; l’interprete, pertanto, «non incontra nessun ostacolo normativo ad applicare ai rapporti atipici le norme che disciplinano i rapporti tipici, sempre che non si voglia individuare nella definizione legale un diaframma che impedisca l’applicazione diretta di tali norme». Tutto ciò accentua la delicatezza e la necessità del giudizio di meritevolezza volto a verificare la sintonia del concreto, particolare regolamento negoziale con i valori espressi dall’ ordinamento giuridico: soltanto in tal modo si eviterà che figure atipiche, o tali soltanto in apparenza, vengano utilizzate per violare e ribaltare l’assetto degli interessi astrattamente previsto come equo dal legislatore.
In particolare, con una garanzia (completamente) autonoma rispetto al rapporto principale sarebbe possibile attribuire al creditore diritti non riconosciutigli sulla base dell’obbligazione garantita: questa figura di garanzia, non consentendo la valutazione degli interessi presenti nel rapporto garantito, potrebbe essere utilizzata in favore di crediti naturali o, addiritura, di crediti derivanti da titoli nulli perché contrari a norme inderogabili, all’ ordine pubblico ed al buon costume.