La comunione presenta due nuclei di disciplina distinti tra loro:
a) il primo composto da norme di organizzazione del diritto spettante all’insieme dei partecipanti nell’amministrazione della cosa comune (artt. 1105 e 1108 cc.)
b) il secondo riguardante la posizione del singolo partecipante in ordine:
all’uso della cosa comune (art 1102 cc.), alla facoltà di disposizione del proprio diritto (art. 1103 cc.), alla partecipazione al processo di formazione della volontà comune (artt. 1106, 1107,1109 cc.) O al diritto di chiedere lo scioglimento della comunione (art. 1111 cc.)
Secondo la dottrina del Vitalevi l’oggetto del diritto del comunista è rappresentato da una parte ideale della cosa comune: al comunista spetterebbe un diritto di proprietà su di un bene di natura immateriale (la quota), costituito da una porzione aritmeticamente determinata della cosa comune. A tale teoria è stato obiettato che la somma di tutti i beni immateriali di cui sarebbero proprietari i comunisti resta pur sempre un bene immateriale e che dovrebbe essere fornita un’adeguata spiegazione se non si vuole che questa finisca per atteggiarsi alla stregua di una res nullius.
Secondo altra dottrina (Segrè, Cicu), invece, la quota ha il significato di frazione autonoma del comune diritto di proprietà, di guisa che ogni singolo comunista è titolare di un diritto di proprietà solo quantitativamente minore. Questa conclusione finisce per banalizzare ed offuscare tutta la complessità interna della situazione.
Sotto altro profilo, l’orientamento in questione non permette una corretta qualificazione giuridica della quota. Se si sostiene che la quota è il frazionamento del diritto di proprietà in tanti diritti quanti sono i comunisti, aventi identico oggetto e identico contenuto, sembrerà naturale dedurre che essa partecipi anche del carattere reale del diritto di proprietà. A tal proposito si ricorda la tesi di Carnelutti secondo la quale lo scioglimento della comunione non si attua attraverso la divisione del godimento ma attraverso la realizzazione della quota, ovvero attraverso un procedimento a seguito del quale non deriverà necessariamente un diritto esclusivo di proprietà su di una porzione dell’intera cosa.
In una direzione diversa muove l’opinione del Grasso, che vede nella quota un diritto a contenuto plurimo nel quale compendiare unicamente alla facoltà di utilizzazione del bene comune anche i poteri di partecipazione alla sua amministrazione, nonché le posizioni di dovere che ogni partecipante ha verso gli altri. Tale concezione rimuove un equivoco di impostazione che caratterizza le precedenti teorie, ponendo in rilievo che la comunione non può essere rappresentata dalla mera confluenza di singoli diritti, ognuno individuale. Rimangono però dubbi che si affacciano nel momento in cui si intenda trascrivere secondo lo schema del diritto soggettivo il contenuto della quota.
Per esempio sotto questo aspetto non è possibile ritenere pertinenti allo schema del diritto soggettivo gli obblighi e le responsabilità che fanno capo al comunista. Tali obiezioni inducono a ritenere che la nostra nozione di quota non sia dotata di autonomo valore giuridico; in sostanza non consente una qualificazione dei diversi elementi che la compongono. Tuttavia può utilmente servire ad indicare la serie di situazioni giuridiche che fanno capo a colui che partecipa alla comunione.