A norma dell’art. 1138 1° co. c.c., quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a 10, deve essere formato un regolamento di condominio che disciplini l’uso delle cose comuni, le spese e le norme sull’amministrazione. Nella comunione invece il regolamento è facoltativo, quindi sembra più correttamente riferibile al libero esplicarsi di poteri organizzativi. Solitamente si ritiene che i regolamenti condominiali si caratterizzino per avere una struttura maggioritaria nel senso che questa esplica i suoi effetti anche nei confronti dei condomini dissenzienti. Non crediamo che l’adozione del principio maggioritario possa far ritenere il regolamento come un atto a contenuto autoritativo.
In proposito è opportuno essere coscienti del fatto che la fonte resta pienamente rimessa all’autonomia delle parti; di guisa che il principio di maggioranza non influenza il contenuto della fattispecie negoziale, ma rappresenta il limite esterno oltre il quale la posizione del condomino dissenziente è irrilevante ai fini dell’adozione del regolamento stesso.
Vi è da chiedersi se il condomino, nell’inerzia degli altri, possa chiedere ed ottenere la formazione del regolamento mediante provvedimento giudiziario. L’art. 1136 c.c. nulla dice in proposito e ciò ha indotto la dottrina a ritenere che l’interesse che il codice vuole tutelare imponendo il regolamento sia privo di coercibilità. Non sarebbe un grave danno, questo, in quanto la regolamentazione codicistica riservata ai condomini con meno di 10 partecipanti assicura un’adeguata tutela. Male si presta alla direzione tracciata il rimedio contenuto nell’art. 2908 c.c. che consente all’autorità giudiziaria di costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici tra le parti, quando previsto. Questa, infatti, è una tutela eccezionale che ricorre solo, appunto, nei casi espressamente previsti dalla legge.
Né sembra che si possa applicare la previsione dell’art. 2932 c.c. che presuppone che l’assetto degli interessi sia stato predisposto nel suo contenuto dalle parti, di guisa che la sentenza possa produrne direttamente gli effetti. All’art. 2932 però va presupposto un conflitto di interessi già a priori composto dal legislatore. Seguendo questo ragionamento, si comprende come la sentenza, prevista in tema di costituzione di servitù coattive dall’art. 1032 c.c., non rappresenti una esecuzione in forma specifica del tipo prefigurato dall’art. 2932, in quanto essa non presuppone la violazione di un obbligo a dichiarare una volontà negoziale, bensì l’assenza di un accordo delle parti sugli aspetti economici e pratici che attengono all’esercizio della servitù.
A questo punto ci sembra di condividere l’idea che un fondamento positivo alla formazione giudiziale del regolamento vada ritrovato nell’art. 1105 ult. co. c.c., richiamato in virtù di generale rinvio alle norme sulla comunione dall’art. 1139. A norma dell’art. 1105 ult. co. il Tribunale provvede in camera di consiglio ad adottare i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune se non si forma una maggioranza.
Accade spesso che nei regolamenti condominiali siano inserite clausole – approvate all’unanimità – destinate a regolare l’uso delle proprietà individuali: come, ad esempio, quella di non concedere in locazione l’appartamento a studi professionali. Vi è una tendenza interpretativa a ritenere tali clausole pertinenti alla disciplina delle parti comuni dell’edificio poiché tutti ne trarrebbero beneficio con l’evitare in queste molestie e turbative derivanti da un uso non consono del singolo appartamento. L’interpretazione in questione va oltre, perché l’art. 1138 ult. co. c.c. dice che le norme del regolamento non possono limitare i diritti di ciascun condomino quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni.
Più pertinente, quindi, è sembrato il richiamo ad una matrice contrattuale delle clausole che regolano l’uso delle proprietà individuali. Da tale prospettiva, il contratto costituisce un vincolo di destinazione di natura reale.
Restano tuttavia perplessità sulla tesi che affida alla tecnica del contratto – intesa come tecnica di composizione di interessi in conflitto – la costituzione di vincoli di destinazione, in quanto crediamo che tali clausole esprimano più un collegamento di interessi che una contrapposizione.