Nella prospettiva accolta dalla piu recente giurispru­denza di legittimità, il dovere di buona fede avrebbe una funzione nuova, perché diverrebbe «il» criterio per deter­minare l’ammontare del debito del garante che dovrebbe ri­spondere soltanto per le obbligazioni assunte dal garantito a séguito di un comportamento corretto del creditore. Del re­sto, alla domanda se, in subiecta materia, si possa trarre qualche utile spunto dalla dottrina statunitense sulla buona fede in executivis, pare si debba fornire una risposta nega­tiva. L’utilizzazione di tale concetto si spiega nel tentativo di evitare che, approfittando di un regolamento contrattuale espresso in maniera impedetta, una parte vanifichi le aspet­tative dell’ altra, non eseguendo il contratto secondo buona fede.

Questa situazione è estranea alla fideiussione omnibus perché la banca, nel concedere credito, esegue un rapporto diverso da quello di garanzia. Inoltre, qualora ciò avvenisse in presenza di un peggioramento delle condizioni economiche del debitore, il creditore non si riapproprierebbe di alcuna delle opportunità perse al momento della conclusione del negozio di garanzia. Opportunamente, la dottrina si è domandata se, nella fideiussione omnibus, tra i costi preventivati da chi gode di discrezionalità, fosse da ricomprendere quello di non potere recuperare il credito nei confronti di un debitore insolvente.

In tale situazione l’esecuzione contraria a buona fede si avrebbe quando l’uso del potere discrezionale fosse finalizzato alla riappropriazione di opportunità perse con la conclusione del contratto, «quando cioè la parte che esercita la di­screzionalità rifiuta di pagare i costi preventivati dell’esecuzione». Si sottolinea cosi che l’aspettativa contrattuale protetta non può non comprendere anche i costi dell’ esecuzione preventivati dal promittente, «costi consistenti nelle opportunità alternative cui si è rinunciato per stipulare un particolare contratto».

La figura risente non soltanto del carattere dell’accessorietà, ma anche della circostanza che l’impegno assunto dal mandante-promissario, più che rafforzare l’aspet­tativa del creditore ad ottenere l’adempimènto dell’ altrui ob­bligazione, rappresenta la stessa ragione del finanziamento.

Come in altre ipotesi, il terzo, intervenendo per deter­minare le condizioni e l’entità del credito che può essere con­cesso, garantisce un’ operazione il cui contenuto risulta pro­grammato dal mandante-promissario. La circostanza incide, necessariamente, sulla disciplina della garanzia che, rappresen­tando la ragione principale del finanziamento, risulterà carat­terizzata anche da un’ accessorietà diversa da quella fideiussoria. Il mandato di credito, non coincidendo con il mandato o con la fideiussione, ha carattere strumentale, perché si col­loca nell’ambito dei contratti preparatori: infatti, è preordina­to alla nascita di un futuro rapporto fra promittente e terzo, disciplinando preventivamente gli interessi che ne hanno de­terminato la costituzione.

Sebbene non sia questa la sede per un esame approfondi­tO del mandato di credito, che meriterebbe un autonomo studio, non si possono non rilevare evidenti affinità ed ana­logie tra chi interviene con una garanzia caratterizzata dallo scopo di finanziamento e chi, rispondendo «come fideiusso­re», si rivolge ad un terzo – di regola una banca – affinché faccia credito ad un determinato soggetto: in entrambe le ipotesi, il terzo, in qualità di garante per obbligazioni future, si obbliga per consentire ad altri di accedere al credito. La scelta della figura da utilizzare non è irrilevante per l’opera­tore, in quanto le incertezze che, da sempre, hanno caratteriz­zato la fideiussione c.d. generale, potrebbero essere superate mediante il mandato di credito.

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