È comunque da avvertire che, purtroppo, non sempre le parti si trovano su una posizione di sostanziale parità nel momento in cui concludono il contratto; il problema, tuttavia, ha carattere generale e non si pone in maniera particolare per il mandato di credito. La valutazione in ordine alla meritevolezza della deroga alle norme dispositive, ed in particolare all’art. 1956 cod. civ., già complessa se la clausola è inserita in singoli ed episodici negozi, diviene particolarmente delicata nella contrattazione standardizzata, ove si presenta sistematica. La soluzione non può essere unitaria, valida per tutte le ipotesi.
Inoltre, l’interprete, attento al criterio sistematico, non può non tenere presente l’intero contesto normativo, al fine di arricchire la disciplina con tutte quelle norme che, pur previste per altri istituti, esprimono analoga esigenza di tutela.
In siffatto contesto la particolarità del fatto e delle circostanze in cui si verifica, incidendo sul procedimento della qualificazione, suggerisce l’opportunità di ridimensionare la mera prospettiva sillogistica di riconduzione del fatto concreto alla fattispecie astratta. L’interprete è chiamato, nella piena consapevolezza dei valori espressi dall’ ordinamento, ad individuare la normativa maggiormente idonea a disciplinare il singolo atto di autonomia privata. In tale prospettiva si può mettere in dubbio la possibilità di tenere distinte le norme interpretative da quelle suppletive (e dispositive), negando, altresì, l’esistenza di criteri che differenzino l’interpretazione dall’integrazione, entrambe funzionalizzate alla determinazione degli effetti negoziali.
Si può, quindi, concludere che, nel procedimento ermeneutico complessivamente inteso, rivolto all’individuazione della disciplina del caso concreto, anche l’integrazione non si pone come un posterius rispetto alla qualificazione, costituendo, invece, un momento di riflessione essenziale per l’individuazione della disciplina del singolo contratto. Nell’attività ermeneutica, evitando rigidi schematismi, l’interprete, in un procedimento sostanzialmente unitario, è chiamato a sintetizzare le regole di stretta provenienza privata con quelle poste dall’ordinamento, valutandone l’imperatività e le condizioni necessarie perché ne sia possibile e/o meritevole la deroga.
Diversamente, la banca potrebbe non conseguire alcun effetto liberatorio adempiendo nelle mani dell’incapace che, una volta divenuto maggiorenne, avvalendosi della tutela offertagli dall’ art. 1190 cod. civ., potrebbe reclamare un credito pari all’ammontare dei prelievi che non si sono rivolti a proprio vantaggio. Per evitare il rischio economico connesso a tale eventualità non può essere utilizzata la garanzia fideiussoria del genitore perché, nella specie, non vi sarebbe alcun debito del figlio da garantire. Probabilmente sarebbe piu corretto fari ricorso alla figura della promessa del fatto del terzo, con la quale il genitore si potrebbe obbligare ad indennizzare la banca se il figlio, una volta maggiorenne, contestasse l’efficacia dei prelievi effettuati.
Per evitare gli inconvenienti connessi al «primo conto giovani», potrebbe essere utilizzato il contratto di mandato di credito, che consente al genitore di intervenire in qualità di mandante-promissario oltre che nella veste di legale rappresentante del minore. A differenza di quanto accadrebbe se intervenisse in qualità di garante, il genitore con tale contratto può gestire completamente l’accesso del minore al conto corrente, perché la fattispecie prevista dall’art. 1958 s. cod. civ. permette al mandante-promissario di operare quale reale dominus dell’intera operazione. In tal modo, in un primo momento sarà possibile prima predeterminare le condizioni di apertura del conto corrente disciplinando dettagliatamente le modalità del prelievo e, successivamente, costituire, in sostituzione del minore, il rapporto di conto corrente utilizzabile con la carta bancomat.
Poiché il legislatore ha previsto il generale requisito della capacità di agire per un’ esigenza di economia legislativa, l’art. 2 cod. civ. non pregiudica un’autonoma indagine volta a verificare se tale attributo debba essere richiesto per ciascun fatto od atto giuridicamente rilevante. Del resto dal sistema normativo si può desumere che il minore possiede una limitata capacità di agire: si pensi alle convenzioni matrimoniali (art. 165 cod. civ.), al contratto di lavoro (art. 2, commi 2 e 3, cod. civ.) ed all’esercizio di un’impresa commerciale (art. 397 cod. civ.).
Anche di recente è stato osservato che l’attuale sistema giuridico presuppone già delineata la nozione di «atti di ordinaria amministrazione»; pertanto, stante l’eterogeneità dei criteri proposti, nella consapevolezza dell’impossibilità di individuarne uno obiettivo, capace di definire la categoria, è necessario procedere ad un’interpretazione che con sia solamente letterale, ma che tenga conto della funzione della norma in questione. Senza dubbio l’assunzione di un mutuo può incidere negativamente sul patrimonio del minore, ma, come prevede lo stesso art. 374, n. 2, cod. civ., non tutte le obbligazioni assunte tramite il legale rappresentante debbono essere previamente autorizzate. Pertanto il genitore che, nell’ esercizio della funzione educativa, stipula un contratto di mandato di credito, a séguito del quale la banca si obbliga a consentire al minore di effettuare prelievi eccedenti il limite della provvista, realizza un atto di ordinaria amministrazione che non necessita di alcuna autorizzazione.
Sintomatica, in proposito, è una recente decisione della giurisprudenza che, superando il limite posto dalla lettera dell’art. 320 cod. civ., ha deciso che la concessione di mutui a minori è esente da autorizzazione allorché, Vistane l’entità, il prestito è passibile di restituzione utilizzando il reddito del minore medesimo. La ratio dell’articolo considerato dovrebbe far concludere che non tutti i contratti di mutuo devono essere considerati atti eccedenti l’ordinaria amministrazione868; pertanto, nonostante siano stati espressamente inclusi tra quelli appartenenti a tale categoria, ne pare possibile la conclusione senza la preventiva autorizzazione, allorché siano di ammontare tale da non pregiudicare la consistenza economica del patrimonio del minore. In conclusione, la predeterminazione da parte del genitore delle condizioni di accesso al conto, impedendo al minore di compromettere i propri interessi perché la discrezionalità è limitata alle modalità esecutive dei prelievi consentiti, garantisce che la somma riscossa andrà a vantaggio dell’incapace.