In epoche a noi più vicine e in ambienti meno sensibili alla tradizione regalista si è cercato di assegnare al principio nominalistico un fondamento più oggettivo e cioè legato allo stesso movimento dei traffici e degli scambi. Questi gli indirizzi diversi:
1) la postulata oggettività del principio deriverebbe dal carattere legale di esso, pur sottolineandosi che il principio non viene creato dal nulla, ma dedotto, in via empirica, da una considerazione generalizzante della normale situazione di fatto, in cui le parti contraenti non pensano né comunque hanno riguardo alle oscillazioni monetarie; infatti se vi avessero riguardo introdurrebbero delle clausole di salvaguardia, mentre la legge non può dare valore ad ipotesi non prese in considerazione dalle parti. Si deve ritenere che le parti abbiano inteso contrattare tenendo presente il valore nominale della moneta, così come espresso al corso legale del tempo del pagamento. Il principio nominalistico trova in tal modo la sua giustificazione nell’intenzione, legalmente rilevante, delle parti. È questa la tesi più privatistica e negoziale tendente ad ancorare il principio nominalistico alla volontà delle parti, così da poterne sancire la derogabilità ad opera delle parti medesime.
2) Una visione antinegoziale vuole offrire invece alla concezione che ravvisa nel principio nominalistico una risposta contro una eventuale rilevanza dei motivi e ponendosi esso dunque in alternativa nei riguardi di un principio valoristico col quale si verrebbe a dare rilievo ai diversi e mutevoli motivi delle parti. Essa tende in realtà a ravvisare nel principio nominalistico l’effetto automatico della scelta, fatta dalle parti, di una unità legale di misura e dovendosi dunque affermare che, per effetto di tale scelta, hanno deciso le parti di correre il rischio delle oscillazioni dell’unità di misura prescelta.
3) Altra tesi mira a ricondurre il fondamento del principio nominalistico agli stessi principi generali delle obbligazioni, apparendo del tutto naturale e normale, alla stregua di tali principi, che il creditore, di denaro , così come quello di merce, subisca il danno delle oscillazioni monetarie, nell’intervallo di tempo tra la nascita del debito e il pagamento, così come un qualsiasi creditore potrebbe subire il danno derivante dal diminuito valore di mercato della merce acquistata. Ma si dovrà replicare, contro tale tesi, che essa è afflitta dal vizio del considerare il debito di denaro alla stessa stregua di quello di cose, venendosi così a trascurare una evoluzione storica imponente.
Dalle considerazioni che precedono dovrebbe risultare difficile privilegiare l’una o l’altra tesi. Il grado di credibilità delle stesse è direttamente proporzionale alla loro intrinseca coerenza rispetto alle premesse generali da cui muovono. Un fondamento decisivamente pubblicistico al principio nominalistico assegnano quelle teorie che appoggiano il principio all’ordinamento valutario del singolo paese e cioè a quel complesso di norme che regolano la produzione di moneta e il suo uso. È quanto avviene nell’esperienza tedesca con le concezioni pubblicistiche che richiamano il concetto di sovranità monetaria dello Stato. Sul terreno delle manifestazioni di sovranità si colloca il concetto giuridicamente rilevante di denaro, in quanto mezzo legale di pagamento assegnato ad una certa unità di conto.