Dal canone 208 al canone 223 viene delineato lo stato comune a tutti i fedeli, cioè il legislatore ha formulato una catalogo di doveri e diritti comuni sotto il titolo “Obblighi e diritti di tutti i fedeli” o “De omnium christifidelium obligationibus et iuribus”. In questa parte del codice sono confluite le disposizioni contenute nel progetto “Lex Ecclesiae fundamentalis” mai portato a termine. Queste disposizioni aprono con l’affermazione del principio di eguaglianza che è formalmente entrato nella legislazione ecclesiastica solo con il codice ora in vigore; infatti in passato si preferiva il principio dell’ineguaglianza, presente nella Chiesa da un punto di vista sacramentale – ministeriale.
Il can. 208 invece afferma che fra tutti i fedeli c’è una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, grazie alla rigenerazione in Cristo, e dunque tutti cooperano all’edificazione del Corpo di Cristo. Questo risponde anche ai principi dell’ecclesiologia del Concilio Vaticano II e specialmente nella Lumen gentium dove troviamo che uno solo è il popolo eletto da Dio, esiste un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, quindi non c’è nessuna ineguaglianza in Cristo e nella Chiesa. Questa affermazione del principio di eguaglianza è la premessa al manipolo di libertà , diritti e doveri fondamentali di tutti i fedeli che troviamo al canone 208 poiché non vi possono essere libertà , diritti e doveri comuni a tutti i fedeli se questi non godono di una posizione di eguaglianza all’interno dell’ordinamento.
In passato invece la Chiesa era organizzata come una società giuridicamente organizzata per ceti, cioè una società in cui l’appartenenza ai vari ceti comportava la titolarità di uno status e di diritti e doveri propri. Oggi invece l’ordinamento canonico ha fatto proprio il principio di eguaglianza per cui le differenze di trattamento giuridico non derivano da uno status ma dalle differenti funzioni che ciascuno è chiamato a svolgere.
A questo principio sono connessi i diritti e doveri fondamentali del cristiano ovvero i canoni 209 – 222, che possiamo riassumere così: dovere di mantenere la comunione della Chiesa e soddisfare le obbligazioni personali verso la Chiesa (can. 209); dovere di condurre una vita santa e di contribuire all’incremento ed alla santificazione della Chiesa (can. 210); diritto – dovere di partecipare all’opera di diffusione del messaggio evangelico (can. 211); dovere dei fedeli di obbedire ai propri pastori, nonché il diritto – dovere di manifestazione del pensiero nella Chiesa su questioni concernenti il bene comune (can. 212); diritto ai sacramenti e agli altri beni spirituali (can. 213); diritto all’esercizio di culto ed alla propria spiritualità (can. 214); diritto alla libertà di associazione e di riunione nella Chiesa (can. 215); diritto di esercitare personalmente l’apostolato (can. 216); diritto all’educazione cristiana (can. 217); diritto alla libertà di ricerca nelle sacre discipline (can. 218); diritto alla libera scelta dello stato di vita (can. 219); diritto al buon nome nella comunità ecclesiastica (can. 220); diritto alla tutela dei propri diritti e alla difesa in giudizio, nonché diritto a non essere colpiti da sanzioni penali non a norma di legge (can. 221); l’obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa provvedendo alle necessità dei poveri e degli emarginati (can. 222).
A differenza di quanto accade negli ordinamenti giuridici secolari, il legislatore canonico contempla, quasi prima dei diritti, i doveri fondamentali del fedele; nel senso che il legislatore della Chiesa ha preferito esplicitare i doveri mentre negli ordinamenti statali sono impliciti nella formulazione dei diritti, basta pensare al principio di reciprocità o al principio dei limiti che la libertà di ciascuno incontra nella libertà dell’altro. Si tratta di una differenza che nasce dalla concezione canonistica fortemente tributaria dei diritti fondamentali.
Inoltre si deve notare l’eterogeneità dei diritti fondamentali del cristiano nell’ordinamento canonico rispetto ai diritti dell’uomo e del cittadino racchiusi nelle costituzioni contemporanee, non solo perché esistono diritti sanciti dal codice che non hanno alcun riscontro negli ordinamenti giuridici secolari, ma anche perché, pure se si tratta di diritti rinvenibili negli ordinamenti secolari, il loro ambito di operatività e le modalità del loro esercizio nella Chiesa non possono che essere particolari. Un esempio è il diritto di libertà di associazione, per rendersi conto che tali diritti devono essere intesi in maniera coerente con le caratteristiche strutturali e finalistiche della Chiesa. Il can. 223 infatti afferma che ad ogni fedele incombe il diritto di tener conto sia del bene comune della Chiesa, sia dei diritti degli altri e dei propri doveri verso gli altri.
Queste disposizioni sono la diretta traduzione del principio della comunione (communio) giĂ affermato nel can. 209 in cui si dice che i fedeli sono tenuti all’obbligo di conservare sempre la comunione con la Chiesa. Questo principio appartiene da sempre all’esperienza della Chiesa ma è stato ulteriormente rafforzato dal Concilio Vaticano II per sottolineare il passaggio da una ecclesiologia societaria (principio della societas) ad una ecclesiologia di comunione intenta a recuperare l’intera realtĂ divino – umana della Chiesa ponendo in rilievo elementi (sacramenti, parola di Dio, carismi) irriducibili all’esperienza giuridica secolare.
Senza dover aderire all’impostazione teorica della scuola canonistica di orientamento teologico, il can. 209 afferma che il principio di comunione rappresenta uno degli elementi che più distingue la logica dell’ordinamento canonico da quella degli ordinamenti secolari, imponendo una diversa concezione sia dei rapporti tra le varie istanze gerarchiche all’interno della Chiesa sia degli stessi diritti soggettivi. Ma al contrario dei diritti fondamentali degli ordinamenti secolari, i diritti dei fedeli non rappresentano espressione e strumento della massima emancipazione dell’individuo da ogni vincolo sociale o istituzionale ma piuttosto costituiscono delle sfere autonome di azione del fedele sempre protese al conseguimento del fine supremo della Chiesa.
Questo elenco di diritti e doveri non sembra esaustivo per due motivi: per la genericità in cui sono formulati alcuni canoni, perché l’ordinamento canonico è un ordinamento aperto al diritto divino naturale e positivo. Esistono poi dei diritti fondamentali che esprimono istanze proprie del diritto naturale, ad esempio il diritto di libertà religiosa, dichiarato inviolabile nella dichiarazione “Dignitatis humanae” dal Concilio Vaticano II. Questo diritto ha un senso se si pone nello Stato, società ad appartenenza necessaria, mentre ha poco senso considerarlo nella Chiesa, società ad appartenenza volontaria. Infatti troviamo il can. 748 il quale afferma che non è mai lecito indurre gli uomini con la costrizione ad abbracciare la fede cattolica contro la loro coscienza e il can. 865 il quale afferma che un adulto, per poter essere battezzato, deve manifestare la volontà di ricevere il battesimo. In conclusione si deve osservare che solo i battezzati che sono nella piena comunione con la Chiesa cattolica hanno attualmente ed effettivamente la pienezza dei diritti e dei doveri.