Il diritto non è solo il diritto dello Stato ma esistono altre espressioni della giuridicità, tante quante sono le forme di aggregazione umana. Anche il diritto canonico, quindi, non è l’unico esempio di diritto religioso, ogni credenza religiosa che si esplicita in una comunità umana organizzata produce diritto. C’è quindi una pluralità di diritti religiosi, cioè di nuclei di norme che si dirigono ai rispettivi fedeli e ne disciplinano la vita. Ad esempio i tre grandi diritti religiosi prodotti dalle tre grandi religioni del Libro: ebraismo, cristianesimo, islam. Al contrario del diritto canonico, però, gli altri diritti religiosi non sono molto forti; il motivo è strettamente culturale, cioè il periodo in cui è nato il cristianesimo ha favorito molto per la sua formazione (cultura latina). Dobbiamo però distinguere tra la fede come patrimonio culturale e la fede come incarnazione sociale perché non tutte le religioni hanno un passaggio tra patrimonio dogmatico e organizzazione sociale.
Il termine “chiesa” (deriva dal greco “ekklesia”) è strettamente legato al cristianesimo perché nasce appositamente per indicare le chiese cristiane. Il diritto dello Stato usa il termine “confessione religiosa” per indicare la comunità religiosa, ma il diritto canonico usa il termine “comunità religiosa” per indicare l’insieme di uomini tenuti insieme da un’identità comune. In questo senso si può notare che c’è una differenza di terminologia. Possiamo dire che non tutte le fedi si strutturano in confessioni o comunità religiose, come ad esempio le religioni asiatiche, ma se la fede non è strutturata socialmente non costituisce diritto, come nella celebre frase “ubi societas ibi ius”, quindi se tutte le religioni non fossero anche comunità religiose, non avrebbero diritto. Diritto inteso sempre come organizzazione sociale e non come morale perché le leggi morali sono ben altro. Infatti non sempre diritto e morale sono congruenti tra loro (ad esempio nelle questioni bioetiche), però le regole morali esistono anche senza regole giuridiche.
Secondo alcuni studiosi di diritto comparato, i diritti religiosi costituiscono una famiglia giuridica a sé: i diritti statali riguardano l’uomo qui ed ora, i diritti religiosi nella prospettiva ultramondana e ultratemporale. I primi sono costituiti dal diritto positivo, posto dal legislatore umano, i secondi sono composti principalmente dal diritto divino, perciò i primi sono detti “laici” e gli altri “religiosi”. Quindi i diritti religiosi si differenziano da quelli statali sia per l’origine del loro diritto sia per la finalità. Ma questi studiosi ritengono che, oltre ad una diversità con i diritti statali, i diritti religiosi siano anche differenti tra loro. Altri studiosi invece (un esempio è René David) ritengono che la differenza ricorre tra diritti appartenenti a differenti universi culturali, perciò il diritto canonico è più prossimo ai diritti secolari che non il diritto islamico. Ritengono inoltre che i diritti religiosi sono accomunati dal fondamento in una legge rivelata da Dio, però contengono anche molte diversità. Ad esempio nel diritto canonico, sulla base del diritto divino, c’è un grande sviluppo del diritto umano che invece è più debole nelle altre due esperienze religiose. Inoltre il diritto canonico conosce il diritto naturale, sconosciuto nel diritto islamico e controverso nel diritto ebraico. Il diritto naturale
viene sempre da Dio ma riguarda in generale tutti gli uomini, non solo i cristiani quindi i battezzati; il diritto naturale non è prettamente cristiano ma è un’idea classica, infatti ne troviamo degli esempi nell’Antigone di Sofocle e con S.Tommaso. Quindi esistono due fasce di norme: le norme naturali e le norme rivelate. Gli altri due diritti religiosi non conoscono il diritto naturale ma solo il diritto divino rivelato, infatti essi contestano i diritti umani, visti come espressione della cultura occidentale; in questo modo, però, tolgono una base comune e sotto una prospettiva relativista (secondo cui ogni cultura va rispettata) verrebbero legittimate situazioni come ad esempio la schiavitù. Il diritto naturale, invece, porta come conseguenza che anche il non battezzato ha rilevanza per la Chiesa, ad esempio con il diritto di libertà di culto.
Possiamo dire, quindi, che per comparare i diritti delle tre grandi religioni monoteiste si può usare un canone interpretativo, cioè notare le somiglianze e le differenze. Un esempio sono i problemi che il divenire della storia pone in rapporto all’esigenza dei diritti religiosi di aggiornare il proprio sistema normativo, infatti i diritti secolari hanno la legittimazione di mutamento nel senso che negli stessi ordinamenti giuridici degli Stati il legislatore ha posto i principi del rinnovamento normativo; viceversa i diritti religiosi sono irrigiditi in ragione dell’origine della legge, il diritto divino. In realtà tutti hanno elaborato dei meccanismi per garantire l’adeguamento dei propri apparati normativi e ognuno in maniera diversa: nell’ordinamento ebraico e in quello islamico, costituiti dal solo diritto divino, attraverso l’opera dell’interprete; nell’ordinamento canonico, costituito in buona parte anche dal diritto umano, attraverso la via legislativa, cioè la modifica di quella parte dell’ordinamento giuridico costituita da norme di diritto umano. Nel diritto canonico assume una certa evidenza anche l’attività interpretativa come uno strumento di adeguamento della legge, comunque il diritto canonico è più elastico degli altri diritti religiosi proprio perché costituito in gran parte da diritto umano, che gli altri diritti religiosi non hanno.