Un problema particolarmente delicato, anch’esso trattato dalla Corte costituzionale, attiene alle controversie risarcitorie.

Prima del d.lgs. 80/1998 la tutela risarcitoria costituiva monopolio del GIUDICE ORDINARIO L’art. 7 co. 3 legge TAR, infatti, nella sua formulazione originaria sottraeva alla cognizione del TAR in sede di competenza esclusiva 3 tipi di questioni:

  1. Questioni pregiudiziali  concernenti lo stato e la capacità delle persone fisiche, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio;
  2. Incidente di falso;
  3. Diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di illegittimità dell’atto riservate      alla giurisdizione ordinaria.

L’art. 35 co. 4 d.lgs. 80/1998 però, ha modificato l’art. 7 precisando che all’autorità giudiziaria ordinaria restano riservate solo le questioni pregiudiziali concernenti lo stato e la capacità dei privati, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio, e la risoluzione dell’incidente di falso.

Estendendo così al G.A. la cognizione dei diritti patrimoniali consequenziali non solo nei casi di giurisdizione esclusiva contemplati dalla novella del ’98, ma in tutti i casi di giurisdizione esclusiva.

Le questioni sono consequenziali quando, pur derivando dalla pronuncia di illegittimità, non ne costituiscono conseguenza immediata. Si tratta delle pretese che non trovano la fonte diretta del rapporto dedotto in giudizio, anche se tale rapporto costituisce il loro presupposto.

In particolare, costituiva questione patrimoniale consequenziale la pretesa al risarcimento del danno conseguente alla lesione ingiusta di una situazione tutelabile.

La giurisprudenza è ormai consolidata nel senso che esse siano tutte le pretese al risarcimento del danno derivanti da un illegittimo comportamento della P.A.

Con il d.lgs. 80/1998, nonché con la sent. 500/1999, si sono venuti a creare due diversi giudici del risarcimento:

a) Il GIUDICE ORDINARIO nelle materie in cui il potere di annullamento del provvedimento amministrativo spetta al G.A. in sede di giurisdizione di legittimità;

b) Il G.A. per le materie rientranti nella giurisdizione esclusiva: edilizia, urbanistica e servizi pubblici, ai sensi dell’art. 35 d.lgs. 80/98.

Tale indirizzo ha trovato conferma nella giurisprudenza successiva che affermava: laddove non venga in rilievo una giurisdizione esclusiva del G.A., la giurisdizione risarcitoria ricade in capo al GIUDICE ORDINARIO sulla base del fatto che con l’azione di risarcimento viene dedotta in giudizio una distinta ed autonoma situazione giuridica soggettiva avente lo spessore di diritto soggettivo scaturente dall’ingiusta lesione dell’interesse legittimo.

La domanda di risarcimento del danno ingiusto, quindi, ivi compreso quello derivante dalla lesione di un interesse legittimo, va proposta dinanzi al GIUDICE ORDINARIO

Tutto ciò comportava che il privato, in caso di lesione di interesse legittimo, doveva necessariamente adire prima il G.A. per ottenere l’annullamento del provvedimento illegittimo, e poi chiedere al GIUDICE ORDINARIO il risarcimento del danno.

Con la l. 205/2000 il legislatore ha profondamente  innovato il sistema di riparto della giurisdizione fra GIUDICE ORDINARIO e G.A. attribuendo a quest’ultimo le controversie risarcitorie non solo nei casi di giurisdizione esclusiva, ma anche nei casi di giurisdizione generale di legittimità.

Infatti, l’art. 35, come modificato dalla l. 205/2000, ha attribuito al G.A. la possibilità di accertare il diritto al risarcimento del danno e condannare la P.A. al relativo risarcimento in tutti i casi in cui lo stesso giudice ha giurisdizione, superando così la limitazione delle sole ipotesi di giurisdizione esclusiva derivante dalla originaria stesura della norma. L’ambito di operatività, quindi, non è più limitato alle materie attribuite alla giurisdizione esclusiva.

Attraverso questa importante innovazione si è attuata una concentrazione dinanzi ad un unico giudice di tutti gli aspetti relativi ad una determinata controversia, eliminando il defaticante iter del doppio binario.

L’art. 7 l. 205/2000 disponeva, difatti, che il giudice amministrativo conosce di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno e agli altri “diritti patrimoniali consequenziali“. Risultava così eliminata la riserva al GIUDICE ORDINARIO della cognizione delle controversie attinenti alle questioni patrimoniali consequenziali.

 Si è altresì ingenerata una modifica dell’art. 7 co. 3 legge TAR, che oggi recita: “il TAR, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica e agli altri diritti patrimoniali consequenziali.”

 L’espressione legislativa è poco precisa: la reintegrazione in forma specifica, mediante l’attribuzione del bene preteso con la domanda principale, poteva già sempre essere richiesta al G.A. attraverso il giudizio di ottemperanza, con il quale di fatto il giudice poteva sostituirsi all’amministrazione.

Ciò che non poteva essere richiesto, invece, era proprio il risarcimento di una somma di denaro. L’innovazione pertanto vale solo per questo secondo aspetto.

Il d.lgs. 80/1998, come novellato dalla legge del 2000, prevede, inoltre, una particolare tecnica processuale di determinazione del danno: il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo(….) può essere chiesta la determinazione della somma dovuta”.

Viene così delineato un macchinoso procedimento nel quale il giudice ove non ritenga necessario procedere in prima battuta ad una esatta quantificazione del danno, pronuncia una sorta di sentenza di condanna generica, volta a stabilire i criteri, il termine  e le modalità in via generale. Si sottolinea, poi, che in caso di mancanza di accordo tra le parti potrà chiedersi al giudice la determinazione giudiziale della somma dovuta.

La scelta del legislatore in ordine alla possibilità riconosciuta al G.A. di pronunciare una sentenza di condanna al risarcimento del danno è stata fatta salva dalla Corte Costituzionale che, con sent. 204/2004, ha riconosciuto come costituzionalmente legittima la possibilità per il G.A. di condannare l’amministrazione al risarcimento del danno anche nelle ipotesi di lesione di interessi legittimi, qualificando questa possibilità non come una nuova materia di giurisdizione esclusiva ma come un completamento della tutela giurisdizionale amministrativa.

Sul punto, infatti, la sent. 204/2004 aveva chiarito che la pronuncia di incostituzionalità non aveva investito la norma in esame, atteso che il potere di disporre il risarcimento del danno ingiusto non costituisce una nuova materia devoluta alla giurisdizione del G.A., Bensì uno strumento di tutela ulteriore da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della P.A.

 Analoga conferma deriva dalla sent. 191/2006.

La scelta legislativa è perfettamente coerente con i carattere del giudizio risarcitorio in cui il diritto al risarcimento è correlato alla lesione della posizione di interesse legittimo alla cui tutela è preposto il G.A.

La norma, peraltro fa sorgere il dubbio che la giurisdizione in materia risarcitoria del G.A. si radichi soltanto nel caso in cui oggetto del giudizio sia il provvedimento amministrativo illegittimo i cui effetti abbiano cagionato un danno ingiusto a carico del destinatario permanendo la giurisdizione del GIUDICE ORDINARIO nelle ipotesi in cui il risarcimento prescinde dall’annullamento dell’atto amministrativo.

E’ ovvio che l’annullamento non è richiesto, e su questo la giurisprudenza è stabile, nell’ipotesi in cui:

– non vi sia alcun provvedimento da annullare: es. contestazione silenzio inadempim. della PA

– allorché il provvedimento sia già stato altrimenti annullato: es. annullamento d’ufficio o in sede di ricorso amministrativo

La discussione, invece, permane sul fatto se l’impugnazione del provvedimento sia indispensabile allorché il medesimo esista.

La dottrina ha osservato che l’intenzione del legislatore è nel senso di concentrare la tutela nelle mani di un solo giudice in tema di risarcimento per cui la norma può dirsi finalizzata ad attribuire l’intero universo delle controversie  risarcitorie legate agli atti e ai comportamenti lesivi della posizione di interesse legittimo al G.A., senza necessità di richiedere allo stesso una pronuncia annullatoria del provvedimento.

Secondo questa parte della dottrina, quindi, l’impugnazione del provvedimento amministrativo non risulta essere una tappa necessaria dell’iter volto ad ottenere una pronuncia di risarcimento del danno a carico della P.A.

La dottrina tradizionale e la giurisprudenza amministrativa prevalente, tuttavia,  rimangono ancorate al principio del necessario previo annullamento della determinazione amministrativa. Il Gallo fa parte di questa dottrina e afferma che la necessità della previa impugnazione del provvedimento non pare contestabile, in ragione del fatto che, in difetto di questa impugnazione, la tutela giurisdizionale accordata al privato, attraverso il risarcimento del danno, non verrebbe a coincidere con il soddisfacimento dell’interesse pubblico che rappresenta, invece, il presupposto della tutela accordata all’interesse legittimo.

Il privato, infatti, potrebbe anche essere risarcito ma l’interesse pubblico sarebbe irrimediabilmente leso, da un lato per la presenza di un provvedimento illegittimo, dall’altro per la presenza di un esborso di denaro non giustificato in vista del perseguimento del pubblico interesse.

Ciò che impone però l’esperimento dell’azione di impugnazione avverso il provvedimento illegittimo è il fatto che il privato, rinunciando, non avendo esperito l’azione, di fatto è come se avesse prestato acquiescenza al provvedimento medesimo e, pertanto, è come se risultasse aver rinunciato anche alle azioni connesse, tra le quali vi è anche il diritto al risarcimento del danno.

La giurisprudenza più recente ha individuato numerose ipotesi nelle quali è individuabile la possibilità di ottenere il risarcimento del danno.

Ricordiamo al riguardo che, ai sensi della sent. 500/1999, che ha consentito di superare il dogma della irrisarcibilità del danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo, la lesione dell’interesse legittimo è una condizione necessaria ma non sufficiente per accedere alla tutela risarcitoria ex art. 2043 cc, poiché occorre altresì:

a) che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima e colpevole della P.A., l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla, e che dato interesse al bene della vita risulti meritevole di tutela alla luce dell’ordinamento positivo.

b) è necessario che il “danno sia stato arrecato dalla P.A. con dolo o colpa”, proprio perché si versa in una ipotesi di illecito aquiliano.

Anche su questo punto la Corte opera una svolta significativa perché a differenza del passato dove  se l’amministrazione arrecava con i propri provvedimenti illegittimi un danno ad un diritto soggettivo del cittadino, il dolo e la colpa erano da ritenersi impliciti e si parlava di colpa in re ipsa, strettamente connessa con l’emanazione di un provvedimento illegittimo, in questo caso, invece, sarà il giudice che di volta in volta dovrà verificare se sussiste l’elemento del dolo o della colpa in capo alla P.A.

Si dovrà dimostrare specificamente la sussistenza dell’elemento psicologico. E questo non è molto semplice in quanto occorre dimostrare dei fatti che sono interni alla P.A.: emergono quindi delle nuove discriminazioni in capo al cittadino.

Con la sent. 500/99 si è detto che bisogna accertare la colpa, ma non la colpa del funzionario che ha posto in essere l’atto, bensì  occorre accertare l’elemento soggettivo, quindi il dolo o la colpa dell’apparato amministrativo. Si tratta di una prova che in passato si diceva “probatio diabolica” perché provare la colpa di un apparato è un qualcosa di estremamente difficile.

Un’ipotesi di responsabilità, ormai pacificamente riconosciuta, è quella relativa alla responsabilità precontrattuale nella quale incorre l’amministrazione che, nel corso delle trattative con un privato, venga a violare il suo affidamento.

Ulteriore ipotesi di responsabilità per risarcimento del danno, contemplata dal Gallo, è quella relativa al c.d. danno da ritardo: ossia il danno che l’interessato subisce per il fatto che l’amministrazione non si sia tempestivamente pronunciata sull’istanza presentata.

Art. 2-bis legge 241/1990 (come modificata dalla legge n. 69/2009)→ la pubblica amministrazione è tenuta al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza doloso o colposa del termine di conclusione del procedimento ed attribuisce dette controversie alla giurisdizione esclusiva del G.A., prevedendo che il diritto al risarcimento del danno si prescriva in 5 anni.

Il nuovo Codice è intervenuto in merito introducendo, all’art. 30,  una specifica azione di condanna  al risarcimento del danno derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria.

L’azione di risarcimento nel caso di lesione di interessi legittimi può essere proposta anche indipendentemente dalla impugnazione del provvedimento, e perciò in via autonoma:

  1. se è stata proposta azione di annullamento: la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio o comunque sino a 120 g. dal passaggio in giudicato della relativa sentenza anche nel giudizio di ottemperanza.
  2. se è proposta in modo autonomo: va introdotta entro il termine di decadenza di 120 g. decorrente dal gg in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.

Seguendo l’orientamento della Corte di Cass. che aveva ipotizzato l’applicazione in materia dell’art. 1227 c.c., l’art. 30 stabilisce che nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento dei mezzi di tutela previsti. La disposizione, però, presenta evidenti problemi:

– il termine di decadenza non si attaglia ai diritti soggettivi

– la brevità del termine pari a quello per ricorrere nel procedimento straordinario avanti il Presidente della Repubblica, nel quale è possibile agire anche a tutela di interessi legittimi: assimilazione che la Corte di Cass. non riteneva corretta tra diritto soggettivo e interesse legittimo quanto all’esperimento dell’azione risarcitoria;

– incidenza che la mancata proposizione del ricorso di impugnazione può avere sul risarcimento del danno.

Alcuni hanno affermato che, in questo modo, venga introdotta la c.d. pregiudizialità amministrativa, essendo esclusa la possibilità di ottenere  il risarcimento se l’impugnazione non è proposta.

La lettura preferibile è però nel senso che la valutazione circa la rilevanza dell’impugnazione o meno del provvedimento deve essere compiuta dal giudice di volta in volta, e che non è detto, perciò, che sempre e indubitabilmente conduca ad escludere la possibilità di ottenere il risarcimento da parte di chi non abbia proposto l’azione di annullamento.

Per la sussistenza della responsabilità occorre dimostrare anche la colpa dell’amministrazione, riferibile all’apparato e che sussiste allorché la stessa abbia operato con negligenza.

La norma sembra superare il precedente orientamento ed ammettere che il risarcimento possa essere accordato anche nel caso di ritardo nell’adozione di un provvedimento non necessariamente favorevole, purché, però, il ricorrente sia in grado di dimostrare il danno che ha subito.

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