In virtù della massima, frutto di una rigida applicazione del principio della separazione dei poteri, secondo cui annullare un atto amministrativo equivale ad amministrare, la LAC ha escluso la possibilità per il GIUDICE ORDINARIO di annullare il provvedimento amministrativo (art. 4), ma nel contempo gli ha imposto di non applicare provvedimenti amministrativi contrastanti con leggi o regolamenti (art. 5).
– l’art. 2 LAC, facendo del diritto soggettivo la linea di separazione tra la giurisdizione del GIUDICE ORDINARIO e del G.A. individua i limiti c.d. esterni
– gli artt. 4 e 5 LAC stabiliscono i limiti interni della giurisdizione del GIUDICE ORDINARIO in ordine agli atti amministrativi e, quindi, presuppongono già risolto il riparto di giurisdizione in favore del GIUDICE ORDINARIO stabilendo l’ambito dei poteri di quest’ultimo.
Detta, dunque, l’art. 4 LAC: “Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’autorità amministrativa, i tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei tribunali i quanto riguarda il caso deciso”.
Detta l’art. 5 LAC: “ In questo caso come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi”.
Da questa norma, che pur ha ad oggetto l’applicazione, è stato tratto l’istituto della disapplicazione del provvedimento amministrativo. Mentre l’art. 4 si occupa espressamente degli effetti dell’atto, l’art. 5 dispone in ordine alla sorte dell’atto illegittimo: esso dovrà essere non applicato e, cioè, disse applicato dal giudice ordinario.
Ciò significa che il giudice, una volta accertata l’illegittimità dell’atto, dovrà ricostruire il rapporto prescindendo dagli effetti da esso prodotti e, quindi, giudicare come se questi non sussistessero.
Il giudice, però, priva l’atto di efficacia soltanto limitatamente al caso deciso, sicché, al di fuori del giudizio, l’atto continua spiegare i propri effetti.
Il potere incidentale di disapplicazione può essere perciò impiegato nelle situazioni caratterizzate dal fatto che il privato, o l’amministrazione che pretende una prestazione da parte del cittadino affermando che essa scaturirebbe da un proprio atto, invoca a fondamento del proprio comportamento o della propria pretesa un provvedimento amministrativo.
Dalle norme, dunque, si ricavano tre principi generali:
- il GIUDICE ORDINARIO può conoscere degli effetti dell’atto e il suo sindacato è limitato alla sola valutazione, in via incidentale, della legittimità e non del merito dell’atto in relazione all’oggetto dedotto in giudizio;
- il GIUDICE ORDINARIO non può incidere sull’atto amministrativo, anche se illegittimo: non può quindi annullarlo né revocarlo;
- il GIUDICE ORDINARIO potrà solo dichiarare l’illegittimità dell’atto e quindi disapplicarlo ossia non tenerne conto ai fini della decisione. Il contenuto delle sue affermazioni concernenti l’atto non potranno valere oltre il caso deciso e quindi la pronuncia sull’atto non potrà valere una volta per tutte né tra le parti né erga omnes.
Naturalmente, allorché il GIUDICE ORDINARIO si trovi dinanzi ad un provvedimento nullo, perché emanato in carenza di potere, egli deve semplicemente prendere atto di questa situazione e quindi della inidoneità dell’atto a sortire qualsiasi effetto dal punto di vista giuridico.
Se il provvedimento amministrativo è illegittimo e cioè adottato in violazione delle norme che disciplinano l’attività della P.A., il GIUDICE ORDINARIO non potrà farne applicazione al caso concreto. In questo caso il giudice, sulla base del combinato disposto dell’art. 4 e 5, non potrà annullare il provvedimento e quindi adottare una pronuncia valida erga omnes, ma potrà soltanto disapplicare il provvedimento, cioè non applicarlo al caso deciso.
E’ chiaro, quindi, non avendosi una pronuncia con valenza esterna, che il medesimo provvedimento potrà essere applicato da altro giudice il quale, eventualmente, non giunga alle stesse conclusioni del primo in ordine alla legittimità del provvedimento in questione.
Il potere di disapplicazione del provvedimento illegittimo è un potere che il GIUDICE ORDINARIO deve sempre esercitare allorquando la rilevanza di un provvedimento venga sottoposta al suo esame ma sempre che sussista comunque la situazione legittimante la proposizione dell’azione davanti a lui e cioè la situazione di diritto soggettivo.
Quest’ultima considerazione ci porta ad affermare, sulla base delle interpretazioni giurisprudenziali maturate intorno alla metà dell’800, che se il provvedimento venisse ad incidere direttamente sulla posizione del cittadino fatta valere in giudizio, la disapplicazione non sarà possibile perché questi non potrà vantare una posizione di diritto soggettivo in seguito all’effetto di degradazione proprio del provvedimento.
Se per es. la P.A. adottasse un decreto di esproprio, il cittadino non potrà richiedere al GIUDICE ORDINARIO una disapplicazione perché egli non risulta più titolare del diritto soggettivo di proprietà in quanto il decreto di espropriazione lo ha degradato ad interesse legittimo e la richiesta di disapplicazione non ha più a fondamento la posizione legittimante.
Diverso è il caso in cui il provvedimento costituisca soltanto un antecedente logico della pretesa vantata: se un privato agisce nei confronti del vicino per contestare la correttezza del suo comportamento nella realizzazione di una costruzione, il GIUDICE ORDINARIO potrà conoscere della fondatezza di questa pretesa e se il caso disapplicare il provvedimento amministrativo che consenta al convenuto di realizzare l’immobile in violazione della disciplina urbanistica.
In questo caso, infatti, la posizione dedotta in giudizio da parte del confinante nei confronti di colui che costruisce è una posizione di diritto soggettivo, di diritto di proprietà, posizione che non è in alcun modo incisa dal provvedimento che non ha effetto sul diritto di proprietà del confinante, ma ha effetto solo nei confronti dell’interesse legittimo di colui che richiede il provvedimento favorevole.