La proposizione del ricorso al giudice è soggetta ad un termine di decadenza piuttosto breve, presente, anche se diversamente configurato, sia nell’ipotesi di giurisdizione generale di legittimità che in quella di giurisdizione in merito ed esclusiva.
La ratio alla base della previsione del termine per ricorrere è quella di attribuire stabilità ai rapporti e definitività alle situazioni giuridiche, che non possono restare esposte per un tempo indeterminato ad una contestazione in sede giudiziale. È la stabilità dei rapporti, quindi, a richiedere l’individuazione di un termine.
La configurazione del termine, invece, sarà diversa seconda che si agisca a tutela di un:
- interesse legittimo: la posizione dedotta in giudizio è correlata all’esercizio del potere della P.A. per perseguire un pubblico interesse che, come tale, non può attendere tempi lunghi per essere tutelato. Il termine per ricorrere, pertanto, non può che essere breve: 60 gg. dalla conoscenza del provvedimento impugnato
- diritto soggettivo: si agisce a tutela di una posizione nella quale i rapporti tra cittadino e P.A. sono disciplinati da norme di relazione, poiché le parti si trovano in una posizione di parità. Ivi il termine è quello previsto per la prescrizione del diritto, che ha una durata di 5 o 10 anni dal momento dell’inadempimento.
Il ricorso presentato oltre il termine di decadenza è irricevibile: l’azione tardiva è infatti infondata, perché la parte non ha più la disponibilità del diritto per cui intende agire. Il Codice ha confermato questa disciplina.
- Con riferimento alla GIURISDIZIONE GENERALE DI LEGITTIMITÀ, il termine di decadenza è di 60 g:
- 90 gg. se il ricorrente risiede in altro stato europeo.
- 120 gg. se il ricorrente risiede fuori dall’Europa.
1) La prima ipotesi di decorrenza del termine è quella della comunicazione o notificazione del provvedimento da impugnare al soggetto che intende ricorrere.
La comunicazione può avvenire in via amministrativa o a mezzo di un messo dell’amministrazione che ha emanato l’atto o di amministrazione diversa alla quale l’atto è stato trasmesso, o a mezzo del servizio postale o a mezzo di rilascio diretto all’interessato di una copia del provvedimento.
La notificazione, invece, può avvenire mediante un procedimento compiutamente formalizzato, posto in essere dal messo comunale o dall’ufficiale giudiziario, secondo le norme contenute nel regolamento di procedura del 1907 ovvero nel cpc.
- Il secondo momento di decorrenza è quello della pubblicazione del provvedimento nell’albo dell’amministrazione.
Si tratta di ipotesi nelle quali non è prevista la notificazione diretta all’interessato, trattandosi di un atto a contenuto generale.
L’atto viene normalmente affisso all’albo dell’ente, che determina la conoscenza legale del medesimo per tutti gli interessati. Se la pubblicazione deve avere una durata determinata, la decorrenza del termine inizia dall’ultimo giorno della pubblicazione.
La pubblicazione, oltre che all’albo dell’amministrazione, può essere disposta su pubblicazioni ufficiali: Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea, G.U. della Repubblica Italiana, Bollettino ufficiale della Regione, foglio annunzi legali della Provincia.
Un temperamento è stato introdotto per la pubblicazione sui bollettini ufficiali dei ministeri o delle singole amministrazioni diverse da quelle prima richiamate. In questi casi, infatti, il bollettino non ha una forma di diffusione che dia garanzia della sua effettiva conoscibilità. Inoltre il bollettino proviene, normalmente, agli uffici periferici molto tempo dopo la sua pubblicazione presso la sede centrale e per questa ragione il termine per ricorrere non decorre dalla data di pubblicazione ma dalla data in cui il bollettino è pervenuto all’ufficio dove l’interessato presta servizio.
- La terza ipotesi è quella della piena conoscenza del provvedimento. Per piena conoscenza, contrariamente a quello che letteralmente potrebbe desumersi, non si intende la conoscenza integrale del provvedimento bensì la conoscenza della capacità lesiva del medesimo.
Pertanto, quella che si definisce conoscenza piena in realtà è solo una conoscenza parziale, nel senso che non richiede affatto la conoscenza della motivazione del provvedimento. Questo è uno dei motivi che ha indotto la giurisprudenza, fin dagli anni ’20, ad ammettere la possibilità, per il ricorrente, di formulare nuove censure attraverso la deduzione di motivi aggiunti.
Si deve, peraltro, trattare di una conoscenza formale ed ufficiale, proveniente cioè dalla stessa amministrazione: non è considerata piena conoscenza, perciò, la notizia giornalistica del provvedimento, quand’anche si dimostrasse che l’interessato ha avuto notizia della pubblicazione giornalistica perché abbonato al giornale.
La piena conoscenza si raggiunge anche se l’interessato, per es., si è recato presso gli uffici dell’amministrazione ed ivi ha preso visione di un estratto del provvedimento o di una copia della comunicazione, firmando la relativa ricevuta.
Si discute se vi possa essere una piena conoscenza riferita non all’interessato ma ad altro soggetto che sia nei suoi confronti in una posizione di particolare relazione: es. Tizio ha chiesto al Comune un permesso di costruire. Ci si chiede se possa considerarsi piena conoscenza la presa di visione del parere negativo da parte della moglie di Tizio che si sia recata nell’ufficio comunale. La giurisprudenza, a riguardo, si è mostrata oscillante.
In alcuni casi poi la piena conoscenza di un provvedimento discende da una realtà materiale: in materia edilizia, ad es., si presume la conoscenza dell’esistenza del permesso di costruire nel momento in cui l’edificio è giunto al compimento delle strutture portanti ed al compimento della copertura, mediante la realizzazione del tetto.
In questo caso, quindi, il vicino che in ipotesi volesse impugnare il permesso di costruire, se non ha altrimenti preso conoscenza dell’atto in questione, vedrà decorrere il termine di decadenza non dal rilascio del permesso, dall’affissione all’albo comunale o dall’inizio dei lavori, ma dal loro compimento.
La scelta della giurisprudenza è finalizzata a trovare un punto di equilibrio tra diverse esigenze: il permesso di costruire, infatti, non è un atto a contenuto generale e non può essere conosciuto dai terzi dal momento in cui è affisso all’albo: non si può pertanto pretendere che i terzi debbano seguire ogni iniziativa edilizia per valutarne la consistenza- Dall’altro lato non si può nemmeno immaginare che il termine decorra dal momento in cui il vicino prende visione del permesso nell’ipotesi in cui l’edificio sia ormai ultimato da tempo.
In altra ipotesi la giurisprudenza ha individuato un momento intermedio di conoscenza di un atto, allorché la sua rilevanza sia tale da comportare una immediata impugnazione ma non si voglia far riferimento a date esclusivamente formali: per es., quando si intende impugnare uno strumento urbanistico generale, come un piano regolatore generale comunale. Il termine per ricorrere NON decorrerà non dalla data di approvazione del medesimo da parte della giunta regionale o dalla data di pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione.
Nel caso di atti soggetti a controllo, difatti, il termine per ricorrere decorre dal momento nel quale l’atto ha subito il controllo favorevole ed è divenuto perciò efficace. Poiché, però, l’intervenuto controllo non è comunicato all’esterno, il termine viene fatto decorrere dal momento nel quale il cittadino ha avuto notizia del controllo favorevole.
Quanto detto non vale se l’atto è stato dichiarato dall’amministrazione, ove possibile, immediatamente esecutivo pure in pendenza di controllo→ in questo caso il termine decorre dalla conoscenza dell’atto ancorché non ancora controllato.
Sulla base di queste affermazioni è evidente che, in assenza di una disciplina normativa specifica, l’individuazione della decorrenza del termine per ricorrere è rimessa alla giurisprudenza che individua il punto di equilibrio tra le varie esigenze.
Peraltro, se vi sono fattispecie nuove o mutamenti di giurisprudenza è ben possibile che richiedere e vedersi riconoscere, l’errore scusabile: ricordiamo che, secondo la giurisprudenza, deve considerarsi scusabile l’errore nel quale si sia potuto incorrere, nell’osservanza degli oneri processuali, senza propria colpa, a causa dell’oscurità delle disposizioni legislative, delle novità delle questioni, dei mutamenti e delle incertezze della giurisprudenza e simili, con la conseguenza di non essere più in termini per adempiere agli oneri stessi nei modi dovuti.
Il giudice amministrativo, così operando, pone rimedio a situazioni limite o tempera l’effetto di nuovi orientamenti consentendo, per un certo lasso di tempo, la riammissione in termini del ricorrente.
Nel caso di ricorso nei confronti del silenzio inadempimento, il termine decorre dall’esaurirsi dello spazio di tempo assegnato all’amministrazione per l’adozione del provvedimento, fissato dalla stessa PA con propri provvedimenti regolamentari o, in difetto, in 30 g. dall’inizio del procedimento, come previsto dalla l. 15/2005, come modificata dalla legge n. 69/2009.
Il Codice, all’art. 41, ha confermato questa disciplina.
Infine, per il termine di decadenza, non è contemplata nessuna interruzione: il termine di decadenza può essere salvato solo con il compimento dell’atto tipico e cioè con la proposizione del ricorso.
- Con riferimento alla GIURISDIZIONE ESCLUSIVA, il termine per ricorrere non è quello di decadenza bensì quello di prescrizione del diritto.
Il termine di prescrizione decorre dal momento in cui il diritto è sorto ed è stato possibile farlo valere o, nel caso di inadempimento di controparte, dal momento in cui l’inadempimento si è manifestato.
Normalmente il termine è di 5 anni, come ad es. per le pretese patrimoniali dell’impiegato o di carattere extracontrattuale in genere, ma vi sono delle ipotesi nelle quali la giurisprudenza riconosce l’applicabilità dell’ordinario termine decennale: ciò avviene in tutti quei casi ove è richiesto l’intervento di un provvedimento amministrativo perché il diritto possa considerarsi sorto.
Il termine di prescrizione può essere interrotto non solo attraverso l’esercizio dell’azione ma anche attraverso un qualsivoglia atto stragiudiziale, per es. attraverso la notifica di un atto di diffida, a differenza del termine di decadenza.
- Con riferimento alla GIURISDIZIONE DI MERITO, Posto che in anche in detta sede è possibile far valere sia la lesione di un interesse legittimo che la lesione di un diritto soggettivo, il termine per ricorrere avrà una diversa decorrenza rispetto ai due tipi di situazioni che vengono in esame.
Un termine per ricorrere particolare, che peraltro è il termine ordinario di prescrizione del diritto, è quello relativo all’azione esecutiva, per l’esercizio della quale il regolamento di procedura del 1907 prevede espressamente il termine decennale di prescrizione dell’actio judicati. Il Codice, all’art. 114, ha confermato questa regola.