Tra uffici e organi di una stessa organizzazione pubblica intercorrono rapporti giuridici articolati e complessi, disciplinati dal diritto positivo e che hanno rilevanza sotto vari profili, anche verso l’esterno. Questi rapporti trovano fondamento nelle reciproche relazioni organizzative tra gli organi e gli uffici. Si tratta di relazioni organizzative stabili, che si articolano in due tipi principali che configurano altrettanti modelli di relazioni:

1) relazioni di equiordinazione, in cui gli organi si trovano tra loro in posizione paritaria, per cui si pongono problemi di coordinamento;

2) relazioni di sovraordinazione – subordinazione (gerarchia), in cui l’organo sovraordinato è dotato di una serie di poteri nei confronti dell’organo subordinato che si trova in una posizione di soggezione.

Nelle relazioni di equiordinazione, gli organi si trovano ad operare, come abbiamo detto, in posizione paritaria: ciò si traduce nella sostanziale assenza di supremazia di un organo nei confronti dell’altro. In tale circostanza, si pone il problema del coordinamento delle attività svolte dagli uffici, affinché l’attività di ciascuna struttura organizzativa sia condotta in maniera ordinata e non slegata dall’attività delle altre, al fine di realizzare gli obiettivi e indirizzi dell’organizzazione di cui fanno parte, nell’esercizio concreto delle funzioni loro assegnate. Concretamente occorre operare attraverso il sistema di relazioni tra gli uffici, assicurando coerenza all’azione dei diversi uffici. Il modello di relazioni cd. gerarchico si caratterizza per il fatto che l’organo sovraordinato (cd. “superiore gerarchico”) è dotato di una serie di poteri nei confronti dell’organo subordinato, a fronte dei quali quest’ultimo si trova in una posizione di soggezione. Il modello originario di gerarchia, cd. gerarchia in senso stretto, si caratterizza per il fatto che tra gli organi non sussiste una vera e propria separazione di competenza, ma essa si confonde con l’attribuzione, per cui tutti gli organi possono agire secondo criteri di distribuzione dei compiti stabiliti dal vertice dell’organizzazione. Nell’ambito della gerarchia in senso stretto, l’organo sovraordinato determina il contenuto della singola azione che l’organo subordinato deve porre in essere; quest’ultimo è tenuto ad ottemperare (cioè l’atto deve assumere il contenuto determinato dal superiore gerarchico, pena la sua illegittimità, oltre a conseguenze di natura disciplinare o, ove previsto, di natura penale). In tale, ambito i poteri spettanti agli organi gerarchicamente superiori sono:

– voleri di sostituzione, per cui i!-superiore può sempre sostituirsi all’inferiore;

– poteri di controllo, che si estrinseca in una serie differenziata di poteri che si evidenziano nei controllo sull’ufficio subordinato e sul suo complessivo funzionamento.

Tuttavia, tale modello di gerarchia in senso stretto contrasta con i principi costituzionali che impongono l’organizzazione degli uffici secondo disposizioni di legge che ne determinano la sfere di competenza. Sebbene la relazione di sovraordinazione -subordinazione sia il modello maggiormente diffuso nell’ambito delle relazioni interorganiche, non si tratta più di gerarchia in senso stretto, quanto di un modello differenziato che denominiamo gerarchia in senso lato, che adatta il principio della gerarchia a quello della competenza. Per quanto concerne i poteri degli organi sovraordinati, essi sono:

• potere dì direzione, che consiste nella fissazione, da parte del superiore gerarchico, dei criteri ed obiettivi dell’azione amministrativa. L’inferiore gerarchico deve considerare quanto stabilito dal superiore come criterio di riferimento della propria azione, e deve motivare le ragioni di un eventuale azione difforme. Atti tipici nei quali si esprime detto potere sono le direttive, talvolta definite anche circolari. Il potere di sostituzione non sussiste;

• potere di controllo, analogo a quello della gerarchia in senso stretto.

Per quanto concerne il coordinamento nell’ambito delle relazioni di equiordinazione, esso è assicurato, per così dire, dalla gerarchia stessa, che assicura anche il coordinamento tra uffici diversi sottoposti al medesimo superiore gerarchico. L’esigenza di coordinamento, infatti, si pone alla base del potere di direzione. Il coordinamento assume, infatti, grande rilevanza nell’ambito che stiamo analizzando, in quanto, non essendovi un ufficio sovraordinato, occorre prevedere una apposita struttura che si occupi di garantire, all’interno di uno stesso settore organizzativo, un’azione coerente e conforme da parte dei vari uffici. In alcuni casi, viene costituito un organo collegiale nel quale tutti gli uffici sono rappresentati (es. la conferenza di servizi); in altri casi ad uno degli uffici viene espressamente conferito dalla legge il compito di coordinamento, che si concretizza in poteri di armonizzazione dell’azione dei vari uffici, e non in poteri di direttiva. Inoltre, nell’ambito delle relazioni di equiordinazione, si possono porre dei conflitti di attribuzione tra i diversi organi, la cui risoluzione è disciplinata dalla legge, che si affida per lo più all’applicazione del fondamentale principio della competenza, che non può essere derogato per mera volontà dell’amministrazione, pena l’illegittimità degli atti emanati. In base a tale principio, fondamentale nella regolamentazione delle relazioni interorganiche, ciascun organo ha un ambito di esercizio delle proprie funzioni, stabilito dalla legge, che non può essere liberamente derogato da parte dell’amministrazione. Tale principio si estende anche alle relazioni di equiordinazione, a quelle gerarchiche in senso lato, ma non a quelle in senso stretto, nel quale ambito, appunto, non opera il principio di competenza.

L’inderogabilità dell’ordine legale delle competenze implica l’attribuzione della titolarità dei poteri all’inferiore gerarchico, mentre al superiore sono attribuiti poteri di direttiva, controllo e coordinamento, che in vario modo condizionano l’azione dell’inferiore gerarchico. I rapporti giuridici che si instaurano tra uffici ed organi sono principalmente tre:

– avocazione, in base al quale un organo, per motivi di interesse pubblico o per giustificale ragioni organizzative e funzionali, decide di esercitare un potere attribuilo alla competenza di un altro organo. L’avocazione richiede una esplicita previsione legislativa che lo consenta;

– delegazione, caratterizzato dal fatto che un ente o organo, il delegante, titolare di un potere o complesso di poteri, attribuisce al delegato l’esercizio dei medesimi attraverso una delega, che costituisce l’atto di legittimazione. La delegazione è ammessa nei casi previsti dalla legge. Con la delega si instaura tra delegante e delegato un rapporto giuridico che ha ad oggetto l’esercizio della funzione o del complesso di funzioni, da parte del delegato, con la fissazione della durata, dei criteri e degli obiettivi legati all’esercizio dei potere. E’ il delegato a rispondere dell’esercizio dei poteri nei confronti dei terzi, mentre il delegante è titolare di un potere di direzione e di controllo sul delegato, (cfr. di seguito a tal proposito la differenza con la delega di firma). Secondo la giurisprudenza, l’atto di delegazione deve essere a forma scritta necessaria. La delega può essere sempre revocata nelle stesse forme previste per la sua adozione; peraltro, si ritiene che tale revoca possa avvenire anche implicitamente, e cioè mediante l’esercizio diretto del potere, fino a quando l’organo delegato non abbia posto in essere l’attività per la quale la delega era stata data. Diversa dalla delega interorganica è la cd. delega di firma, ipotesi che si verifica quando un organo, ferma restando la piena titolarità dell’esercizio di un determinato potere, delega ad un altro organo il compito della firma degli atti nei quali l’esercizio del potere si concretizza. L’atto firmato dal delegato resta formalmente imputato al delegante:

questa è la principale distinzione con la delega interorganica.

–           sostituzione si ha quando un organo, di regola il superiore gerarchico, adotta atti di competenza di altro organo cui quest’ultimo è tenuto per legge, ma è inadempiente. Nella gran parte dei casi si tratta di una forma di controllo sull’operato di altri organi – cd. controllo sostitutivo – e può essere affiancato anche dall’attribuzione di un potere sanzionatorio nei confronti dell’organo sottoposto a controllo.

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