Gli statuti delle regioni, delle province e dei comuni sono atti che hanno forza realizzatrice dell’autonomia.
La costituzione stabilisce che “ogni regione ha uno statuto il quale, in armonia con la costituzione e con le leggi della repubblica, stabilisce le norme relative all’organizzazione interna della regione” e che esso “regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della regione” nonché sulla pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali. Inoltre si stabilisce che esso sia deliberato dal consiglio regionale a maggioranza assoluta dei suoi componenti e approvato con legge della repubblica.
Lo statuto non è un atto amministrativo: esso ha una duplice valenza e cioè è legge della regione e al tempo stesso legge della repubblica in quanto recepita dall’atto legislativo che la costituzione chiama di approvazione ma che in realtà è soltanto un atto di sussunzione e canonizzazione nell’ambito dell’intero ordinamento repubblicano.
La legge della repubblica non può intervenire con valutazioni di opportunità ma solo qualora norme statuarie configgano con i precetti costituzionali o con i precetti fondamentali dell’ordinamento.
Quanto agli statuti delle province e dei comuni il discorso è in un certo senso analogo. Già si è visto come la nuova legge comunale e provinciale abbia espressamente introdotto questo tipo di autoregolamentazione che era sconosciuto all’ordinamento previdente, statuendo che “i comuni e le province adottano il proprio statuto”.
Lo statuto deve stabilire le norme fondamentali per l’organizzazione dell’ente determinando le attribuzioni degli organi, l’ordinamento degli uffici e dei servizi pubblici, le forme di collaborazione fra comuni e province quelle del decentramento, della partecipazione popolare, dell’accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi.
L’esperienza insegna che gli statuti, anziché essere gli atti qualificativi dell’ente comunitario, si sono dovuti ridurre a contenuti applicativi cosicché le amministrazioni comunali e provinciali sono rimaste rigorosamente le stesse di prima non solo quanto alle funzioni ma anche quanto all’organizzazione.
D’altra parte l’aver sottoposto lo statuto al controllo di legittimità dei comitati regionali di controllo ha portato ad una ancora maggiore uniformità e a un controllo talmente penetrante da parte di quell’organo da finire per consentire allo statuto di essere piuttosto il luogo di manifestazione di buoni propositi che non lo strumento per la realizzazione di una vera autonomia.