La Pubblica Amministrazione esercita principalmente la funzione materiale esecutiva. Ciò significa che per il raggiungimento dei suoi fini, la Pubblica Amministrazione compie una continua concretizzazione delle norme giuridiche, costituendo, modificando o estinguendo unilateralmente, mediante l’uso dei poteri di impero, posizioni degli altri soggetti, onde soddisfare primariamente il proprio interesse.

Per chiarire questa definizione è opportuno ricordare le differenze che passano tra la speciale capacità che compete alla Pubblica Amministrazione di agire (nell’interesse pubblico) con l’uso di poteri di impero e la normale capacità che compete ad ogni privato di agire con l’uso di poteri privati.

La prima capacità viene chiamata autarchia, permette alla Pubblica Amministrazione di agire nell’esecuzione di una legge, la capacità del privato invece permette di agire nell’ambito della legge.

Spetta al privato la libertà di agire, ossia di usare di un proprio potere privato come egli vuole per il soddisfacimento del proprio interesse e la legge gli impone soltanto alcuni limiti.

Il privato può usare questi atti negoziali per il fine che meglio gli aggrada: così può usare del contratto di compravendita per acquistare beni da destinare al consumo immediato o da donare. Inoltre il privato è liberto di servirsi dei negozi che vuole, addirittura di creare nuovi tipi di negozi innominati se quelli esistenti non sono da lui ritenuti idonei a soddisfare un suo particolare interesse.

Ciò è possibile in quanto da un lato questo interesse è sempre un interesse privato e cioè non ritenuto tale da rilevare da solo per la collettività, onde l’ordinamento giuridico può entro certi limiti disinteressarsi del modo e del grado del suo soddisfacimento; e dall’altro lato ciò è possibile in quanto la soddisfazione di quell’interesse non è mai opera unilaterale di un solo soggetto che imponga necessariamente ad altri un loro comportamento ai fini di tale soddisfazione, ma dipende sempre da un accordo tra il primo e i secondi, sia poi che l’accordo stesso dia vita all’atto (contratto) sia che ne costituisca un elemento integrativo (accettazione).

 È facile capire come entrambi questi presupposti dell’autonomia e della libertà negoziali non ricorrano quando la Pubblica Amministrazione agisce per il soddisfacimento di un interesse pubblico mediante l’uso di un potere di impero. Non solo perché l’interesse che essa persegue p sempre un interesse non personale ma rilevante per la collettività e anche perché essa usando di un potere di impero può imporre unilateralmente agli altri soggetti di tenere quel certo comportamento satisfattorio dei precetti.

 La legge pone alla Pubblica Amministrazione non soltanto i limiti esterni del suo agire ma le prestabilisce i mezzi giuridici di quell’agire onde esattamente si può dire che la Pubblica Amministrazione agisce sempre nell’esplicazione di una funzione attuativa della legge stessa.

 Come si è avuto modo di vedere parlando appunto del procedimento, la posizione del privato quanto all’esercizio della funzione amministrativa è sempre una posizione di ausiliarietà: il privato esercita sempre e soltanto un potere di autonomia privata che concorre all’uso e alla definizione della singola funzione di amministrazione.

Secondo quanto è possibile pensare in questi primi tempi di applicazione della legge sul procedimento, il privato non diviene un pubblico ufficiale e non entra a far parte, quindi né formalmente né sostanzialmente dell’organizzazione amministrativa. Egli contribuisce all’uso dei poteri con i suoi apporti talora in funzione di arricchimento delle conoscenze e delle valutazioni dell’amministrazione, talora con un compito di controllo che non ha mai però un carattere istituzionale.

In realtà la legge dispone che agli accordi si applichino i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili.

I principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti compatibili con l’esercizio della funzione amministrativa sono quelli in ordine alla manifestazione della volizione del soggetto partecipante ma non possono essere estesi a quelli che reggono l’esercizio di una funzione che resta sempre di carattere autoritario in quanto esercizio di un potere di impero.

La stessa norma ha cura di precisare che gli accordi possono essere conclusi purchè perseguano il pubblico interesse ponendosi così una esatta distinzione tra l’esplicazione dell’autarchia e l’esplicazione della autonomia privata che avviene nell’interesse del singolo.

È la stessa legge che ha cura di precisare che gli accordi con gli interessati possono essere conclusi al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale con il che si precisa che il contributo dei privati attiene alla determinazione del contenuto e non anche all’attribuzione di efficacia del provvedimento finale che resta sempre un atto esercizio di autarchia.

 All’amministrazione è sempre riservato il potere di recedere unilateralmente dall’accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, ciò che non può attenere che ad un atto amministrativo non potendo l’amministrazione revocare l’atto di un privato.

Quest’ultimo potrà subire un danno dalla revoca che dovesse intervenire e la norma prevede che egli abbia diritto ad un risarcimento che la norma stessa dichiara essere un “indennizzo in relazione agli eventuali pregiudizi verificatesi in danno del privato” e si deve intendere in quanto il recesso dall’accordo per revoca dell’atto abbia dato luogo ad effetti risarcibili.

A troncare ogni possibile dubbio interpretativo è la lettera stessa della legge che prevedendo che l’accordo abbia il fine di determinare il contenuto discrezionale dell’atto chiama quest’ultimo provvedimento finale. È dunque con un provvedimento che si conclude il procedimento anche in caso di accordo.

In sostanza l’accordo è nulla più che il riconoscimento anticipato della validità del provvedimento finale manifestata dal partecipante come effetto delle sue conoscenze e del suo intervento nel procedimento.

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