Per quanto riguarda la qualificazione degli atti dal punto di vista del potere occorre assumere come criterio una particolare relazione tra essi e la norma giuridica del cui potere sono la concretizzazione. Tale relazione definisce la validità degli atti amministrativi.
Questo concetto sta a indicare che l’atto corrisponde pienamente alla fattispecie astratta costituita dalla norma. Se invece l’atto sia difforme da quella norma allora esso viene detto invalido. È però evidente che possono esservi più graduazioni di difformità dalla norma ed infatti si distinguono due tipi di invalidità: l’assoluta o illiceità o nullità e la relativa o illegittimità o annullabilità. Questi termini qualificano l’atto invalido secondo la reazione che l’ordinamento giuridico oppone alla sua invalidità.
È nullo il provvedimento che sia emanato nell’esercizio di un potere che non compete alla Pubblica Amministrazione.
Con riguardo alla provenienza dal soggetto è nullo il provvedimento che sia emanato da un potere diverso da quello competente, nel quale ultimo caso si parla di incompetenza assoluta o di eccesso per straripamento di potere.
Nullo è l’atto che manchi completamente di uno dei suoi elementi essenziali.
Questa espressione “nullo” indica il fatto che l’ordinamento giuridico lo considera come mai venuto in vita e quindi il fatto che esso non è idoneo a produrre alcun effetto: perciò appare preferibile parlare di invalidità assoluta.
Si dice invece “annullabile” o inficiato di invalidità relativa l’atto che pur avendo tutti i suoi presupposti essenziali, tuttavia abbia uno dei suoi elementi parzialmente difforme da come dovrebbe essere. In questo caso l’atto si dice anche “viziato” e quella difformità si dice “vizio”.
Parlando di “annullabilità” si indica non il modo di essere dell’atto viziato ma il fatto che l’ordinamento giuridico lo considera efficace fino al momento in cui con un provvedimento di annullamento esso non sia tolto di vita (annullato).