L’ art. 2, co. 1 d.lgs. 104/10 stabilisce che il processo amministrativo attua i principi della parità delle parti, del contraddittorio e del giusto processo (trova, quindi, applicazione l’ art. 111 Cost.).
Il soggetto che propone la domanda è, nel processo amministrativo, il ricorrente (così denominato perché questo è un processo, appunto, da ricorso); egli, in particolare, ricorre contro un atto che ritiene lesivo di un suo interesse legittimo (e, nella giurisdizione esclusiva, anche di un suo diritto soggettivo). Il ricorrente, pertanto, si duole di un atto o di un comportamento della pubblica amministrazione che lo ha pregiudicato; non è sufficiente, però, che da quest’ atto o da questo comportamento sia derivato un danno, ma occorre anche che tale danno sia stato cagionato in modo illegittimo: così, ad es., chi impugnasse un decreto di espropriazione che, togliendogli un immobile, ha inciso sul suo patrimonio, ma non denunciasse alcuna illegittimità del decreto, vedrebbe respinta la sua domanda, perché verrebbe a mancare la lesione (cioè, la sussistenza di un pregiudizio arrecato illegittimamente).
Per converso, chi denunciasse l’ illegittimità del decreto, ma non fosse proprietario del bene, vedrebbe dichiarato il suo ricorso inammissibile per carenza di interesse [in tal caso, infatti, verrebbe a mancare l’ interesse ad invocare la tutela giurisdizionale: il cd. interesse a ricorrere (si tratta di un interesse personale)].
È bene precisare, però, che vi sono dei casi in cui il provvedimento o il comportamento lesivo posto in essere dall’ autorità amministrativa tocca una pluralità di interessati (ad es., un decreto di espropriazione che colpisce un immobile appartenente a più persone; ovvero un’ ordinanza sindacale che chiude al traffico veicolare il centro storico): in questi casi, gli interessati possono proporre un unico ricorso (cd. ricorso collettivo). I ricorrenti, però, devono avere uno stesso interesse, perché se tra di loro vi è conflitto il ricorso è inammissibile (così, ad es., se più candidati non vincitori impugnano le operazioni di un concorso a pubblico impiego, denunciando l’ irregolare composizione della commissione giudicatrice, il ricorso collettivo è ammissibile perché i ricorrenti hanno il comune interesse alla ripetizione del concorso; se, invece, ciascuno di loro pretende di aver titolo all’ unico posto messo a concorso e deduce vizi nell’ attribuzione dei punteggi, il ricorso è inammissibile perché i concorrenti sono in conflitto tra loro; e, di conseguenza, ognuno di loro dovrà presentare un distinto ricorso).
È necessario sottolineare infine che, al requisito della personalità dell’ interesse, l’ ordinamento deroga nei casi in cui è ammessa la cd. azione popolare: si pensi all’ art. 9 del d.lgs. 267/00, ove si afferma che ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al comune e alla provincia [così, ad es., se il comune omette di ricorrere contro un provvedimento della regione ritenuto lesivo della sua autonomia (come potrebbe essere un atto che riduce l’ importo di un finanziamento che il comune attende), il cittadino elettore può ricorrere in sostituzione del comune, perché in questo caso, l’ interesse dell’ ente è anche interesse del cittadino].