È possibile pensare all’ipotesi in cui l’amministrazione pur avendo il potere di sacrificare il diritto del cittadino, usi però di quel potere in modo non conforme alla legge.

In tal caso sappiamo che il provvedimento è viziato: esso cioè è il risultato di un potere che competeva all’amministrazione ma che è stato usato male. Ora quale sarà la conseguenza del diritto del singolo di questo cattivo uso del potere? Da questo punto di vista generale, pur non potendosi negare che, il sacrificio del diritto soggettivo è stato male attuato, tuttavia occorre riconoscere che esso è pur stato sacrificato, dal momento che l’amministrazione aveva il potere di sacrificarlo. Tuttavia non sarebbe conforme ai postulati dello stato di diritto lasciare il singolo privo di ogni difesa come egli però sarebbe inevitabilmente lasciato, dal momento che egli non avrebbe più alcun diritto soggettivo da far valere.

Il nostro legislatore perciò dopo aver in un primo tempo attribuito alla stessa Pubblica Amministrazione il compito di provvedere a sindacare la validità dei propri atti onde rimuovere quelli che essa riconoscesse invalidi, aveva successivamente attribuito al consiglio di stato il potere di giudicare, su ricorso degli interessati, della legittimità, e per alcuni casi anche dell’opportunità, degli atti amministrativi. Ed ora in attuazione della norma costituzionale contenuta nell’art 125 (art 125: Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione) sono stati creati in ogni regione dei tribunali amministrativi ai quali è stato attribuito il potere di giudicare in primo grado nell’ambito prima attribuito al consiglio di stato, mentre quest’ultimo è divenuto giudice di appello.

 Il singolo può far ricorso ad uno speciale sistema di giudici amministrativi per far valere l’annullabilità del provvedimento che ha sacrificato il suo diritto, e può ottenere la restaurazione, se quello sarà eliminato. Poiché però egli non può far valere quell’annullabilità sulla base del suo diritto la legge (2248/1865) gli consente di farla valete sulla base di un suo interesse e precisamente dell’interesse che egli ha a che l’amministrazione nel sacrificare il suo diritto usi legittimamente del potere attribuitole. Ciò significa dunque che il singolo pur dovendo prestare ossequio al provvedimento che è esercizio del potere di impero, pur essendo cioè in una situazione di soggezione di fronte al potere dell’amministrazione, ha tuttavia per effetto di questa legge un’aspettativa immediatamente tutelata.

L’aspettativa che l’autore del provvedimento non incorra in vizi e quindi che attui il potere, astrattamente previsto alla norma stessa , è infatti in questi casi tutelata mediante l’attribuzione al singolo del potere di ricorrere ad un giudice per ottenere una sentenza che elimini l’atto col quale si è concretato l’invalido uso del potere. Questa aspettativa tutelata si chiama interesse legittimo ed è dunque l’interesse di ogni soggetto che si trovi in una situazione di soggezione, a che l’amministrazione non eserciti i suoi poteri in modo difforme dalle leggi. Ed è appunto legittimo in quanto è preso in considerazione dall’ordinamento giuridico che ne assicura la tutela da parte di un giudice speciale.

         È da segnalare che non sempre l’interesse legittimo presuppone l’esistenza di un rapporto relativo con la Pubblica Amministrazione: esso è infatti riconosciuto anche nei casi in cui l’amministrazione si trovi in rapporto assoluto rispetto al cittadino: così ad esempio in materia di concorsi ad impieghi pubblici, in materia di licenze commerciali.

Anche in questi casi esiste un interesse del singolo a che la Pubblica Amministrazione usi del potere consentitole in conformità alle norme che glielo attribuiscono. Solo che l’esistenza del rapporto è meno chiaramente avvertibile sia per il suo dirigersi verso soggetti indeterminati, sia perché non sempre l’amministrazione si trova in esso in una posizione di obbligo assoluto (dove è più facile vedere l’interesse legittimo del singolo a non vedere modificato illegittimamente il proprio diritto assoluto) ma talora anche in una posizione di diritto assoluto (dove è più difficile ma non impossibile vedere l’interesse legittimo del singolo a non subire illegittime modificazioni del proprio obbligo assoluto); sia infine perché spesso esistono in questi casi dei fenomeni di composizione del contenuto delle varie posizioni, che rendono meno facile accertare la sussistenza e il limite di esistenza dello stesso rapporto assoluto.

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