Quando si parla della sovranità non si pensa soltanto alla condizione giuridica di autorità ma si pensa anche ad essa come ad una capacità che ha un aggregato sociale di porre se stesso come soggetto di e in un ordinamento giuridico (capacità della propria capacità giuridica) e la capacità che esso ha di porre il proprio ordinamento (capacità della propria capacità di agire).
Ed è proprio questa sovranità come capacità che corrisponde al suo concetto giuridico, così come, al momento sociologico “libertà” corrisponde la condizione di chi non è soggetto, rispetto ad un ordinamento altrui, ma è dotato di una propria autonomia, intesa come capacità del singolo di porsi come soggetto in un proprio ordinamento e di porre un tale ordinamento nell’ambito dell’ordinamento sovrano complessivo.
Autorità e libertà sono sottoposte al diritto.
È ora interessante esaminare come avvenga una tale sottoposizione della sovranità alla legge.
In primo luogo bisogna pensare che riconoscendo ai singoli dei diritti, la sovranità nasce limitata: essa cioè riconoscendo posizioni giuridiche per i soggetti nell’ambito del proprio ordinamento fa si che ne vengano definite, nello stesso ordinamento, le sue posizioni giuridiche correlative.
La cultura giuridica tradizionale parla a questo riguardo di una autolimitazione della sovranità, ma una volta posti a suo fondamento i diritti di libertà, sono questi che la limitano e ne condizionano la dimensione e l’esercizio e non viceversa.
Per evitare che la sovranità possa ad arbitrio modificare insieme le proprie e altrui posizioni giuridiche occorre che essa non possa disporre a suo piacimento dell’ordinamento giuridico: che questo sia, cioè, sottoposto ad una regola preordinata ed uniforme e quindi alle stesse leggi del suo ordinamento e non legibus solutus come nel tipo di stato assoluto.
La realizzazione pratica di questo postulato dello stato di diritto è divenuta possibile proprio distinguendo tra le posizione del soggetto dotato di sovranità nell’ambito dell’ordinamento oggettivo e il potere di esercitarla: la prima consente di essere nel proprio ordinamento, la seconda di applicarlo.
Occorre precisare la natura di quel mezzo per attuare le possibilità contenute nelle varie posizioni sovrane che si chiama POTERE DI IMPERO. Si chiama potere ogni energia capace di spostare le posizioni giuridiche dei soggetti di un ordinamento mediante un atto, esercizio di quel potere.
Questa energia (comando o precetto) è espressione di ciò che sta alla base della società, ossia la forza dell’autorità e la forza della libertà. E queste stesse forze si chiamano potere di impero o potere privato.
Mediante questa distinzione si è potuto giungere a ciò, che la sovranità rimanga sempre una ed una soltanto (intesa come somma di tutte le possibili posizioni giuridiche del suo titolare), mentre si è potuto distinguere la possibilità di attuare i comportamenti, ossia la capacità di agire esercitando il potere di impero tra i vari soggetti oppure tra i vari organi (i primi se diversi dallo stato sono poteri di impero originario, gli altri poteri di impero derivati).