Si intende per rapporto giuridico il vincolo che intercorre tra almeno due soggetti per effetto di una relazione (costituita da un atto giuridico) tra una posizione giuridica dell’uno e una correlativa posizione giuridica dell’altro.
Se un rapporto giuridico intercorre tra due soggetti, ciò non vuol dire che esso esaurisca la possibilità di altri rapporti giuridici tra quei soggetti.
Il rapporto giuridico è soltanto una delle possibilità relazioni tra i soggetti e precisamente è, per i soggetti, la conseguenza di una relazione posta da un atto tra due loro posizioni e solo rispetto a queste viene costituito per essi un vincolo nell’ordinamento giuridico.
Il soggetto pertanto diviene “soggetto di un rapporto” in quanto gli venga costituita una posizione giuridica e quindi in quanto vi sia la possibilità di imputargli una posizione giuridica. Questa astratta possibilità di essere titolare di una posizione giuridica, che costituisce il presupposto della titolarità di rapporti giuridici, dal momento che si risolve nella capacità di essere destinatario di atti giuridici costitutivi di posizioni giuridiche, si chiama capacità giuridica.
La capacità giuridica è dunque l’idoneità di un soggetto di ricevere i comandi espressi negli atti giuridici.
Si noti che altro è essere soggetti ed altro è essere capaci di diritto.
Si diviene soggetti in quanto l’ordinamento giuridico attribuisca ad un’entità una propria individualità giuridica. Così ad ogni uomo è attribuita la qualifica di soggetto e tale qualifica è attribuita altresì a quei centri ideali di interessi che sono riconosciuti come persone giuridiche.
Mentre la qualità di soggetto consegue ad una specificazione delle entità che possono entrare nel commercio giuridico, la capacità è questa stessa possibilità: la soggettività perciò è il momento individuale e pertanto individuatore; la capacità è il momento generico comune ad ogni soggetto che diventa soggetto di diritto.
È ovvio poi che la capacità giuridica rappresenta un momento puramente passivo (imputabilità) del soggetto rispetto al rapporto. È infatti normale che la relazione tra le posizioni giuridiche dei soggetti sia costituita dagli stessi soggetti del rapporto. Questi allora non sono più considerabili nella loro idoneità ad esserne imputati ma anche nella idoneità ad esserne autori.
Tale idoneità, che si risolve nella idoneità di usare di un potere per dai vita ad un atto costitutivo di posizioni e quindi di un rapporto giuridico, si chiama capacità d’agire.
Essa a differenza della capacità giuridica non compete a tutti i soggetti. L’uso di poteri è infatti considerato dall’ordinamento giuridico come una cosa delicata per la quale occorrono alcuni requisiti essenziali. Così si ritiene incapace d’agire chi non ha raggiunto una certa età e non possiede una idoneità fisica all’impiego.
Spesso le norme stesse determinano quali categorie di soggetti hanno la capacità di usare del potere da esse sancito: es. attribuendo solo ad alcuni comuni determinati poteri.
In questi casi accanto ad una capacità generica occorre altresì una capacità specifica, la quale si differenzia dalla competenza per ciò che la prima è attribuzione del potere al soggetto e la seconda invece è distribuzione di quel potere tra gli organi del soggetto.
Nella generica capacità di agire che spetta ai soggetti in possesso dei requisiti prescritti rientrano quelle forme di capacità proprie degli enti pubblici che sono l’autonomia, l’autarchia e l’autotutela. La loro differenziazione non dipende però da una diversità di natura, ma solo dalla qualità delle funzioni materiali di cui è consentito l’esercizio.
Concetto di legittimazione: concetto difficile da definire perché sotto l’espressione legittimazione sono ricondotte molte figure che rappresentano fenomeni diversi nella natura seppure simili nella struttura. Possiamo solo dire che si parla di legittimazione quando si vuol indicare che un soggetto è l’effettivo titolare (legittimazione attiva) di un potere o di una facoltà; o destinatario (legittimazione passiva) di un atto di esercizio di quel potere o facoltà.
Per distinguere la legittimazione dalla capacità di agire, noteremo che mentre questa è ancora un’attribuzione generica dell’idoneità ad usare di poteri giuridici, la legittimazione indica l’esistenza di una particolare attribuzione ad un soggetto di un determinato potere.
Così si dice che legittimato (attivo) ad accettare le dimissione volontarie di un impiegato è l’ente da cui questo dipende. Ciò significa che tutti gli enti possono avere quella capacità giuridica ma solo l’ente coinvolto nel caso concreto ha la relativa legittimazione.
In realtà la capacità di agire appartiene al soggetto in linea astratta e cioè rispetto a tutti i possibili casi di uguale valore, mentre la legittimazione concerne il singolo caso ed è quindi la capacità di agire nel caso concreto.
Questo concetto di legittimazione si applica anche nel suo aspetto negativo. Spesso infatti la legge esclude che un soggetti possa essere legittimato all’esercizio di un potere o possa essere destinatario di un certo atto giuridico. Nel primo caso si parla di ineleggibilità e incompatibilità del soggetto. Nel secondo caso di parla di esenzione del soggetto: si pensi ai casi di esenzione dall’obbligo del servizio militare.