Le fonti del diritto sono gli atti o i fatti idonei a produrre diritto, dai quali dunque hanno origine le norme giuridiche (diritto oggettivo).
Una distinzione preliminare deve essere fatta tra:
- le fonti di produzione, destinate ad individuare gli organi e i procedimenti attraverso cui la norma viene posta in essere.
- le fonti di cognizione, ovvero gli atti formali attraverso cui la norma prodotta viene portata a conoscenza dei soggetti destinatari.
 Tali fonti si definiscono fonti atto e si distinguono dalla fonti fatto (consuetudini), praticamente estranee al nostro ordinamento (civil law), ma al contrario tipiche, ad esempio, di quello inglese (common law). Devono poi essere prese in considerazione:
- le norme internazionali, che entrano nel nostro ordinamento attraverso il processo di ratifica
- le norme comunitarie (direttive e regolamenti), che non necessitano del processo di ratifica. Tuttavia, non essendo parte dell’ordinamento, non comportano l’abrogazione delle leggi con cui contrastano, ma obbligano comunque a disapplicarle.
 Esistono due criteri utilizzati per ricondurre ad unità il complesso delle norme che emanano da questo sistema di fonti:
- il criterio della gerarchia, secondo il quale le fonti sono ordinate secondo il loro livello o, nel caso siano allo stesso livello, secondo il criterio temporale.
- il criterio della separazione tra le competenze, secondo il quale gli atti allo stesso livello possono essere modificati solo dalle leggi dello stesso tipo.
Le principali fonti del diritto non scritto sono le consuetudini, fonti sia del diritto privato che di quello pubblico, tra le quali hanno particolare rilevanza le norme consuetudinarie internazionali alle quali si conforma l’ordinamento interno. Diverse dalle consuetudini sono le norme di correttezza costituzionale, ovvero norme di buon funzionamento, le convenzioni istituzionali, ovvero accordi di comportamento reciproco fra organi costituzionali, e la prassi (amministrativa o giudiziaria), che caratterizza il comportamento dei singoli uffici pubblici fra di loro e nei rapporti col pubblico.
Nel campo giudiziario esiste una serie di norme che si ricavano dalle decisioni giurisprudenziali che sono fonti del diritto soltanto nel senso che interpretano il diritto vigente colmandone le lacune. Tali norme creano il diritto giudiziario che vincola solo per l’autorità del precedente dalla quale ciascun giudice può discostarsi, con l’eccezione delle sentenze della Corte costituzionale.
La regola secondo la quale tutte le materie irrilevanti per le norme costituzionali possono essere regolate da norme di grado inferiore presenta un’eccezione, quella della riserva di legge, con la qualela Costituzione riserva appunto al legislatore determinate materie.
Tale riserva può essere:
- assoluta, se il legislatore deve regolare tutta la materia residua della regola costituzionale (es. art 13 co. 2).
- relative, se il legislatore deve semplicemente tracciare i capisaldi della regolazione (es. art. 48 co. 3).
- rinforzata, se il rinvio al legislatore è accompagnato dall’apposizione di speciali limiti alla legiferazione (art. 16 co. 1).
- costituzionale, sela Costituzionerinvia a una legge costituzionale (art. 137 co. 1).
In alcuni casi si applicano le norme di un altro ordinamento, richiamate mediante norme in bianco, il rinvio alle quali può essere materiale (recettizio), se le norme straniere vengono concretamente recepite dal nostro ordinamento, o formale (non recettizio), se vengono semplicemente indicate. Un istituto simile a questo è la presupposizione, attraverso la quale in alcuni casi le nostre leggi presuppongono le definizioni di istituti stranieri contenuti nelle leggi dei relativi ordinamenti. Si ha poi il rinvio a norme non giuridiche, ovvero norme che, pur regolando la condotta dell’uomo in campi diversi dal diritto, diventano giuridicamente rilevanti nel momento in cui sono richiamate dall’ordinamento.