L’art. 2437 quater, tendendo ad evitare che la liquidazione della partecipazione del recedente avvenga a spese del patrimonio sociale, prevede la necessità di esperire il tentativo di riattribuire le azioni ad altri, evitandone l’annullamento e la conseguente riduzione del capitale.
Tale articolo, quindi, dispone che le azioni del recedente siano offerte in opzione agli altri soci, in proporzione alle azioni da questi ultimi possedute, e a coloro che possiedono obbligazioni convertibili (co. 1). Chi esercita il diritto di opzione sulle azioni in oggetto del recesso può anche fruire di un diritto di prelazione (co. 3) nell’acquisto di quelle che risultassero eventualmente inoptate (quando qualcuno degli aventi diritto non ha esercitato l’opzione sulla parte di azioni a lui spettante). L’offerta di opzione deve essere depositata dagli amministratori presso il registro delle imprese entro quindici giorni dalla determinazione definitiva del valore di liquidazione (co. 2).
Qualora attraverso questo meccanismo non si riesca a collocare tutte le azioni dei soci recedenti presso i soci restanti e i portatori di obbligazioni convertibili, le azioni rimaste inoptate sono offerte a terzi estranei alla società (co. 4). Se anche così, nel termine di centottanta giorni, il collocamento non riesce, la società deve rendersi acquirente delle azioni inoptate (acquisto di azioni proprie ex art. 2357 e ss.) e lo fa ricorrendo alle riserve disponibili, potendo eccedere il limite di 1/10 del capitale (co. 5).
Il problema si complica ulteriormente se riserve e/o utili mancano o sono insufficienti, caso in cui le azioni che non potranno essere collocato o acquistate dovranno essere annullate, riducendo il capitale. Questo rappresenta l’unico caso in cui è consentito che lo statuto deleghi all’organo amministrativo la riduzione di capitale (co. 6). In mancanza di tale previsione statutaria, la norma vuole che si proceda secondo le modalità previste dall’art. 2445 per la riduzione volontaria del capitale (co. 7), previa convocazione dell’assemblea straordinaria che in tal caso potrà anche optare per lo scioglimento anticipato della società.
Posizione del socio recedente
A fronte di tutto questo iter, non risulta certo semplice valutare quale sia la posizione dei soci recedenti. Relativamente alla questione del momento in cui il recedente perda lo stato di socio:
- la dottrina successiva alla riforma sembra orientata a ritenere che il recedente mantenga la qualità di socio sino al momento del rimborso delle sue azioni.
- un’altra dottrina, al contrario, tende a considerare il recedente fuori dalla società sin dal momento della sua manifestazione di volontà.
Tale questione, atta a creare molteplici difficoltà interpretative, merita di essere riesaminata, soprattutto alla luce del significato attribuibile ai nuovi elementi recati dalla riforma. In particolare si pongono alcuni interrogativi:
- ci si chiede quale sia il senso del divieto di cessione delle azioni del recedente, da cui deriva l’obbligo del loro deposito presso la sede sociale (art. 2347 bis co. 2): tale disposizione, trasferendo il potere di disposizione delle azioni alla società, comporta che sia questa a offrire le azioni agli altri soci o ai terzi.
- ci si chiede quale sia la portata dell’art. 2437 bis co. 3, che pone il termine di novanta giorni alla possibilità di paralizzare il diritto di recesso: si ritiene che lo scioglimento possa sempre essere deliberato, tuttavia, qualora non si rispetti il termine di novanta giorni, esso non produce più l’effetto di far perdere efficacia al recesso.
Trascorso questo termine senza che la società abbia provveduto a revocare la deliberazione o a deliberare lo scioglimento, quindi, il recedente perde definitivamente lo status di socio e diventa a tutti gli effetti creditore della società per il rimborso delle azioni.