La rappresentazione più semplice della struttura del reato è data dalla formula che contrappone il fatto umano alla volontà colpevole. Una condotta umana si pone come nucleo del fatto ex 47 e 59. Nel linguaggio legislativo della condotta non si fa mai espressa menzione come elemento costitutivo del reato: il termine compare in dettati normativi proprio per indicare ciò che può precedere o accompagnare l’esecuzione dell’illecito.
Azione-omissione. Troviamo questa coppia (ovvero l’azione in quanto comprensiva anche dell’omissione). Gallo chiarisce la contrapposizione tra le due (una dialettica che contraddistingue ogni sistema di istanze che pone una pretesa di comportamento). Analizzare questi due concetti, a cui corrispondono le categorie di illecito di azione e illecito di omissione, comporta il tener conto del sostrato naturalistico che realizza il comportamento stesso. Per cui abbiamo a che fare con un illecito di azione quando il comportamento umano che costituisce il nucleo del fatto antidoveroso è costituito da un’azione positiva. A questa concezione si affianca quella che afferma la struttura normativa del concetto di omissione: riguardo essa si dice che l’omissione consiste nel non tenere una certa condotta, ma è naturalisticamente impossibile verificare la non commissione di una condotta se non facendo riferimento a un dato in base a cui la condotta doveva esser condotta. Questo dato può esser una norma tecnica, ma da un punto di vista naturalistico (cioè secondo quanto è percepibile con i sensi)la condotta che sarà poi qualificata omissiva si presenta sempre come un fare qualche altra cosa. Di conseguenza la struttura di comportamento di azione (nucleo di fatto antidoveroso) si coglie immediatamente a un’osservazione naturalistica, mentre la struttura di comportamento omissivo esige il riferimento a una norma (norma che prescrive un comportamento a contenuto positivo), fare qualche cosa. Comunque azione e omissione si sostanziano quindi per estrinsecazioni di energia muscolare volta a comportamenti esteriori, perché ciò è percepibile con i sensi (naturalistico).
Azione, omissione e contenuto del dovere. Ora per definire un certo illecito come di azione o di omissione, bisognerà vedere il rapporto tra comportamento del soggetto agente e il contenuto del dovere: verificare la corrispondenza della fattispecie concreta (quella posta in essere) alla fattispecie astratta. Per far ciò bisogna abbandonare l’idea per cui un comportamento di inerzia non può portare a un illecito di azione, proprio perchè anche uno stato di inerzia è estrinsecazione al di fuori del soggetto e percebile coi sensi (sta da accertare se quella inerzia si deve o no portare sotto la previsione della regola incriminatrice: non dare la mano al capo dello stato che te la porge, è un reato).
Silenzio e favoreggiamento. Il 378 (“Chiunque dopo che fu commesso un delitto per cui la legge stabilisce ergastolo/reclusione, e fuori dei casi di concorso nel medesimo, aiuta taluno ad eludere le investigazioni dell’Autorità, o sottrarsi alle ricerche di questa, è punito con reclusione fino a 4 anni”) prevede un obbligo di non aiutare (non fare). Ma quello che conta è che il comportamento posto in essere si profili come tale da realizzare fattispecie incriminatrice: a volte il silenzio può rappresentare aiuto ad eludere le investigazioni dell’Autorità o sottrarsi alle ricerche di questa. Il principio generale è questo, ma mediante un’interpretazione del 274 C.P.P. che dice che c’è impossibilità di usare il silenzio per addivenire a una misura cautelare (perchè ci potrebbe essere una pressione), il principio generale non è questo, bensì l’opposto: il silenzio che aiuta un terzo non è favoreggiamento.