Anche nella società per azioni, come nella s.a.s., esiste la possibilità di distinguere tra soci imprenditori e soci proprietari (foedus iniquum), tuttavia, in questo caso, la differenza non è conclamata.

Anche il piccolo azionista, infatti, almeno potenzialmente, è un gestore dell’impresa. Se poi non lo è effettivamente, questo dipende dalla semplice circostanza che non possiede abbastanza azioni per pesare col suo voto in assemblea. Nelle sue mani l’azione vale solo come bene (proprietario) e non come strumento (imprenditoriale) per gestire l’impresa. Ciò non toglie che possa realizzare anche questa seconda potenzialità, ma per farlo occorre che il suo possessore alternativamente:

  • acquisti altre azioni che gli consentano di mettere insieme un cosiddetto pacchetto di maggioranza.
  • venda le proprie azioni, sebbene in questo modo il possessore, per realizzare il valore gestorio delle sue azioni, debba uscire dalla società.

 Nel valutare questo fenomeno, occorre non dimenticare che esso nasce per trovare un finanziamento all’impresa in ambienti sociali diversi da quello imprenditoriale. L’obiettivazione della partecipazione nel titolo azionario, quindi, si omologa perfettamente alla mentalità proprietaria di chi imprenditore non sia, consentendo tra l’altro di assumere e dismettere la qualità di socio attraverso un meccanismo contrattuale relativamente semplice (compravendita).

Nasce così l’ambivalenza della partecipazione, che può essere sì considerata nel suo aspetto primario (imprenditoriale) di partecipazione ad un’impresa, ma può anche essere vista come semplice bene (proprietario) oggetto di investimento.

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