Sono segni distintivi l’insegna, la ditta e il marchio.
Insegna
L’insegna contraddistingue il luogo in cui l’attività è esercitata. Il codice, rinviando all’art. 2564 co. 1 tutela colui che per primo l’abbia adottata nei confronti di chi pretenda di usarne una uguale o simile per contraddistinguere a sua volta i locali in cui svolga l’attività che, per il suo oggetto o per il luogo dell’esercizio, possa creare confusione nella clientela. Nel caso in cui questo accada, il primo potrà pretendere che il secondo differenzi la propria insegna dalla sua mediante modifiche o integrazioni tali da evitare la confusione.
Perché scatti questo meccanismo di tutela, tuttavia, occorre che si tratti di una vera insegna e non di una semplice indicazione generica (es. albergo).
Ditta
La disciplina della ditta rivela più di un’incertezza da parte del legislatore:
- da una parte troviamo l’art. 2563 (la ditta deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore), che pone il principio di verità della ditta.
- dall’altra troviamo l’art. 2565 (la ditta non può essere trasferita separatamente dall’azienda), che, smentendo il principio precedente, consente il fenomeno della ditta derivata .
Tale contraddizione non è sanata nemmeno dal secondo comma dell’art. 2565, il quale dispone che nel trasferimento dell’azienda per atto tra vivi la ditta non passa all’acquirente senza il consenso dell’alienante .
Non sembra comunque un caso che l’art. 2564, inteso alla protezione della ditta, si veda costretto ad evocare non l’imprenditore, non l’azienda, bensì l’impresa quando impone l’obbligo di differenziazione della ditta che sia uguale o simile ad altra già precedentemente adottata. Nella stessa ottica, del resto, si dice che l’imprenditore che eserciti più imprese può utilizzare più ditte.
La ditta, quindi, in definitiva, non sembra essere il nome commerciale dell’imprenditore, quanto piuttosto il nome che l’imprenditore dà all’impresa di cui si fa promotore.
Marchio
Il marchio, la cui disciplina è contenuta negli artt. 2569 e segg., è il segno distintivo apposto sui prodotti e/o sui loro involucri (marchi di produzione e di commercio), oppure sugli strumenti usati per prestare un servizio (marchi di servizio). Tale marchio può essere costituito:
- da una parola (marchio nominativo).
- da una figura (emblema).
- da un segno (marchio figurativo).
- dalla forma esterna del prodotto (marchio di forma).
Il marchio non deve essere confuso con lo slogan pubblicitario, che consiste in una frase incisiva capace di colpire l’interesse del pubblico.
Per essere valido il marchio deve essere:
- originale, ossia dotato di capacità distintiva.
- nuovo:
- il marchio non deve essere già stato utilizzato da altri come marchio, ditta, denominazione o insegna per lo stesso genere di prodotti quando possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico.
- il marchio, anche se registrato per classi di prodotti diversi, non può essere utilizzato nel caso in cui abbia acquistato alta rinomanza (es. Coca Cola).
Il marchio riceve una sua tutela anche quando non sia registrato (marchio di fatto), tuttavia la registrazione, con il rilascio del brevetto, consente una piena tutela, comportando una presunzione di illegalità dell’uso da parte di chiunque non sia titolare del brevetto stesso.
Il d.lgs. n. 480 del 1992 ha profondamente innovato il regime del trasferimento del marchio, il quale attualmente, a differenza che in passato, viene generalmente consentito purché in ogni caso dal trasferimento o dalla licenza non derivi inganno in quei caratteri dei prodotti e servizi che sono essenziali nell’apprezzamento del pubblico (art. 2573 co. 1). La nuova norma prende atto di una realtà ormai diffusa, ovvero del fatto che la pubblicità ha finito per rovesciare i termini del rapporto: paradossalmente è il marchio l’oggetto che il pubblico è indotto a comprare. A questo punto, quindi, il marchio non ha più la funzione di garantire la provenienza del prodotto, bensì di mantenere una corrispondenza e una continuità che rispondano alle attese create nel pubblico dei consumatori.
L’art. 2573, al secondo comma, precisa che quando il marchio è costituito da un segno figurativo, da una denominazione di fantasia o da una ditta derivata, si presume che il diritto all’uso esclusivo di esso sia trasferito insieme con l’azienda . In questi casi, quindi, può accadere che l’imprenditore, cedendo l’azienda, si spogli inconsapevolmente anche del marchio.