Prima del codice la disciplina delle impugnazioni ammesse nel processo amministrativo era piuttosto lacunosa. L’interprete doveva quindi misurarsi con l’esigenza di adattare al processo amministrativo le disposizioni sulle impugnazioni civili, ma molte volte la loro compatibilità con il sistema del processo risultava dubbia. Il codice del processo amministrativo, tuttavia, ha introdotto una disciplina puntuale delle impugnazioni, con la quale è stata data risposta a molti degli interrogativi ancora aperti. Alla disciplina concernente i singoli mezzi di impugnazione della sentenza, il codice ha premesso alcune disposizioni dedicate alle impugnazioni in generale (artt. 91 ss.), sulla scorta degli artt. 323 ss. del codice di procedura civile:
- mezzi di impugnazione (art. 91): nei confronti delle sentenze del giudice amministrativo sono previsti vari mezzi di impugnazione:
- contro le sentenze dei Tar è ammesso l’appello al Consiglio di Stato;
- contro le sentenze del Consiglio di Stato è ammesso il ricorso per cassazione, ma solo per motivi attinenti alla giurisdizione;
- contro le sentenze dei Tar del Consiglio di Stato sono ammessi la revocazione e l’opposizione di terzo.
A questi mezzi di impugnazione va accostato il regolamento di competenza, quando sia proposto contro l’ordinanza del Tar che si pronunci sulla competenza (art. 16 co. 3).
- termini (art. 92): i termini per proporre le impugnazioni sono di due ordini:
- il termine breve (sessanta giorni), che decorre dalla notifica della sentenza;
- il termine lungo (sei mesi), per il caso in cui non sia intervenuta la notifica.
I termini sono perentori, salva la possibilità prevista dall’art. 327 c.p.c. per la parte non costituita nel grado precedente di dimostrare di non aver avuto conoscenza del processo per la nullità del ricorso o della sua notifica. In tal caso è ammessa impugnazione tardiva;
- notifica (art. 93): l’impugnazione si propone con ricorso che deve essere notificato alla controparte nei termini appena indicati. Analogamente a quanto previsto dall’art. 330 c.p.c., la notifica deve essere effettuata alla controparte presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto da essa nell’atto di notifica della sentenza o, in difetto, presso il difensore;
- deposito (art. 94): alla notifica dell’impugnazione deve seguire il suo deposito presso la cancelleria del giudice adito, con annessa una copia della sentenza impugnata. Il deposito dell’appello, della revocazione e dell’opposizione di terzo va effettuato entro trenta giorni dall’ultima notifica;
- contraddittorio(art. 95): il contraddittorio è disciplinato per due profili nodali:
- l’individuazione delle parti del precedente grado di giudizio che siano anche parti necessarie nel grado successivo: il codice identifica come parti necessarie del giudizio di impugnazione tutte le parti in causa nelle cause inscindibili (art. 331 c.p.c.) e le parti che hanno interesse a contraddire negli altri casi (co. 1).
Al riguardo la sent. n. 7 del 2004 dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha escluso la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei co-soccombenti, ossia di quelle parti che, risultate soccombenti nel giudizio del precedente grado, avrebbero ben potuto proporre in termini una loro impugnazione;
- le modalità per evocare le parti in giudizio: per la regolare introduzione del giudizio è sufficiente notificare l’impugnazione ad una sola delle controparti (co. 2) e non è invece necessaria la notificazione ad almeno uno dei controinteressati (come al contrario vale per il ricorso di primo grado). Nei confronti di tutte le altre parti l’integrazione del contraddittorio può essere ordinata successivamente dal giudice (co. 3);
- impugnazioni incidentali(art. 96): analogamente al codice di procedura civile, il codice del processo amministrativo sancisce l’obiettivo della concentrazione delle impugnazioni di una medesima sentenza (co. 1), per esigenze di economia processuale, per ottenere che tutte le parti si confrontino in un unico giudizio e per evitare decisioni contrastanti. Viene quindi richiamato l’art. 333 c.p.c., che impone a chi abbia ricevuto notifica dell’impugnazione di una sentenza di proporre le proprie doglianze nei confronti della stessa sentenza mediante un’impugnazione incidentale nel medesimo processo (co. 2). Per consentire alle altre parti di proporre un’impugnazione nel nuovo grado di giudizio, il codice di procedura civile considera due situazioni distinte:
- nelle cause inscindibili o dipendenti (art. 331 c.p.c.), se l’impugnazione non sia stata notificata a tutte le parti il giudice civile ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, fissando il termine per la notifica nei loro confronti. Se la notifica non viene effettuata, l’impugnazione è dichiarata inammissibile. Questa previsione è riproposta nel codice del processo amministrativo nell’art. 95 co. 4;
- nelle cause scindibili (art. 332 c.p.c.), se l’impugnazione non sia stata notificata a tutte le parti, il giudice civile ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti delle altre parti, fissando il termine per la notifica nei loro confronti. Se però la notifica non viene effettuata, il giudizio rimane sospeso fino alla scadenza del termine entro il quale la parte non intimata avrebbe potuto a sua volta proporre impugnazione. In questo caso, in sostanza, l’inosservanza dell’ordine del giudice di integrare il contraddittorio non comporta l’inammissibilità dell’impugnazione, ma comporta semplicemente una sospensione del giudizio. Sebbene tale ipotesi siano rilevanti anche per il diritto amministrativo, il codice non prevede una disposizione analoga all’art. 332 c.p.c., non essendo per nulla pacifico che tale norma possa essere estesa anche al processo amministrativo.
Nel processo amministrativo, pertanto, appare maggiore il rischio che nei confronti di una stessa sentenza sia proposta una pluralità di impugnazioni separate. Tale rischio sembra addirittura accettato dal codice il quale stabilisce che, nel caso in cui non sia stata disposta la riunione, la decisione di una delle impugnazioni non determina l’improcedibilità delle altre (co. 6);
- impugnazione incidentale tardiva (art. 96): l’impugnazione incidentale deve essere notificata alle altre parti entro il termine di sessanta giorni dalla notifica della prima impugnazione, e comunque prima della decorrenza dei termini per il passaggio in giudicato della sentenza (co. 3). Al pari del codice di procedura civile, tuttavia, anche il codice del processo amministrativo ammette l’impugnazione incidentale tardiva (co. 4) da parte del soggetto contro cui viene proposta impugnazione e dei soggetti di cui all’art. 331 (cause inscindibili o dipendenti), precisando che essa può riguardare anche capi autonomi della sentenza. L’impugnazione incidentale tardiva, tuttavia, deve essere proposta dalla parte entro sessanta giorni dalla data in cui si è perfezionata nei suoi confronti la notificazione dell’impugnazione principale (co. 5) e perde comunque ogni efficacia se l’impugnazione principale viene dichiarata a sua volta inammissibile;
- capo di sentenza: l’impugnazione di una sentenza non deve necessariamente riguardare l’intera sentenza impugnata, potendo riguardare anche una parte soltanto di essa. Chi propone impugnazione, in particolare, tende a rimettere in discussione la sentenza con riferimento alle statuizioni in essa contenute (capi di sentenza) che ritiene contrari ai suoi interessi. Rispetti a quelli non gravati da impugnazione, in linea di principio, se non interviene un’impugnazione incidentale si forma il giudicato. La nozione di capo di sentenza risulta particolarmente controversa nel processo amministrativo:
- la dottrina spazia da tesi che identificano il capo di sentenza in base al petitum (es. annullamento di un provvedimento) a tesi che identificano tale concetto con il singolo profilo di illegittimità fatto valere (es. ciascun vizio esaminato). Secondo la tesi intermedia di Nigro la nozione di capo di sentenza dovrebbe essere conformata alle utilità che l’accoglimento di una censura comporta per il ricorrente. Rispetto a censure equipollenti, quindi, sarebbe configurabile un unico capo di sentenza, mentre rispetto a censure idonee a determinare utilità diverse sarebbero configurabili più capi di sentenza (es. azione di annullamento proposta sia per vizi di legittimità sostanziale che per vizi di legittimità formale);
- in giurisprudenza prevale la tendenza che identifica come unità minima della sentenza qualsiasi pronuncia espressa su una questione sollevata dalle parti o rilevata di ufficio nel giudizio di primo grado. Finisce quindi col risultare capo della sentenza non solo la pronuncia sul singolo vizio, ma anche il rigetto di ogni eccezione pregiudiziale o preliminare;
- intervento (art. 97): nel giudizio di impugnazione del processo amministrativo può intervenire chi vi ha interesse , proponendo un atto da notificare alle altre parti. In questo ambito la disciplina amministrativa si differenzia da quella del processo civile, il quale di norma ammette l’intervento solo dei soggetti che potrebbero proporre l’opposizione di terzo (art. 344 c.p.c.);
- misure cautelari (art. 98): nel giudizio promosso in seguito all’impugnazione della sentenza, può essere richiesta la sospensione dell’esecuzione della sentenza stessa con le medesime modalità esaminate a proposito delle misure cautelari del giudizio di primo grado;
- adunanza plenaria del Consiglio di Stato(art. 99): la rimessione all’adunanza plenaria può essere disposta:
- dalla sezione del Consiglio di Stato chiamata a decidere l’impugnazione (co. 1), se questa rileva che sia in discussione un punto di diritto che ha dato luogo o che possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali;
- dal Presidente del Consiglio di Stato (co. 2), su istanza di parte o di ufficio, se occorre risolvere questioni importanti o dirimere contrasti giurisprudenziali.
L’adunanza plenaria svolge una funzione nomofilattica, analoga a quella riconosciuta alla Cassazione. Tale funzione risulta evidente dal fatto che, qualora l’adunanza plenaria restituisca il giudizio alla sezione rimettente senza decidere l’intera controversia, essa enuncia il principio di diritto (co. 4), al quale le singole sezioni del Consiglio non possono discostarsi. Qualora una sezione ritenga di non condividere il principio di diritto, deve rimettere il giudizio all’adunanza plenaria con un’ordinanza motivata (co. 3).