Fino ad ora abbiamo considerato l’ipotesi che a reagire contro l’illecito sia lo Stato direttamente offeso, ossia lo Stato per il quale la violazione della norma internazionale abbia prodotto un danno. Occorre tuttavia chiedersi se le reazioni esaminate possano provenire anche da Stati che non abbiano subito alcuna lesione. La Commissione di diritto internazionale propose di distinguere i crimini internazionali degli Stati dai semplici illeciti, qualificando i primi come violazioni gravi di obblighi ritenuti fondamentali dalla comunità internazionale nel suo insieme. Dopo discussioni e proposte, tuttavia, la nozione di crimine è stata definitivamente abbandonata dalla Commissione.
 Con riferimento alle contromisure, la questione non può essere risolta in termini teorici: non si può dire, infatti, che, parlandosi di obblighi esistenti erga omnes o comunque assunti verso un certo numero di Stati, ciascuno di essi abbia diritto a reagire con contromisure in caso di violazione. Solo la prassi internazionale può fornire una risposta adeguata:
- il potere per Stati terzi di intervenire viene innegabilmente previsto da singole norme consuetudinarie internazionali. Il caso più importante sembra essere quello della legittima difesa collettiva in caso di attacchi armati, riconosciuta dall’art. 51 della Carta delle NU, secondo il quale, comunque, le misure, anche militari, che lo Stato terzo può prendere devono rispondere ai criteri della necessità e della proporzionalità e comunque presupporre una precisa richiesta dello Stato aggredito.
Passando dal piano consuetudinario a quello pattizio, peraltro, risulta senz’altro possibile che una convenzione multilaterale preveda essa stessa, in caso di violazione di una delle sue norme, il diritto di ciascuno Stato contraente di intervenire con sanzioni, anche se non direttamente leso;
- escluso il sistema delle NU ed escluso quanto possono prescrivere singole norme consuetudinarie o pattizie, tuttavia, non esistano principi generali che consentano ad uno Stato di intervenire a tutela di un interesse fondamentale della comunità internazionale o di un interesse collettivo. La prassi non offre elementi significativi in senso contrario. Risulta piuttosto sintomatico, peraltro, che coloro che si pronunciano a favore di una generalizzata autotutela collettiva si riferiscono per la maggior parte a crimini (es. invasione del Kuwait) che rientrano chiaramente nella legittima difesa collettiva, ammessa per conto suo dall’art. 51 sopracitato e dal diritto consuetudinario.
Esclusa la possibilità per gli Stati non direttamente interessati di prendere contromisure, il discorso cambia per quanto riguarda il ricorso alle ritorsioni, trattandosi, da un lato, di comportamenti leciti e quindi sempre adottabili e dall’altro di mezzi di pressione che possono rivelarsi efficaci per far cessare l’illecito e che come tali sono inquadrabili nell’autotutela