Al fine di favorire il primo accesso al mercato del lavoro di soggetti che non hanno ancora maturato un’esperienza lavorativa sono stati predisposti strumenti negoziali particolari, rivolti a facilitare l’inserimento del giovane e ad impartire allo stesso una formazione professionale. In questo genere di contratti, peraltro, la causa del rapporto di lavoro si arricchisce di un ulteriore obbligo di formazione, incombente sul datore di lavoro, al quale corrisponde un diritto per il lavoratore.

Per tradizione, i contratti a contenuto formativo, entrambi di natura subordinata, rappresentavano il famoso apprendistato e, dal 1984, il contratto di formazione di lavoro. Questo assetto, peraltro, veniva fortemente criticato, innanzitutto dal punto di vista di un’effettiva utilità formativa: i contratti di formazione e lavoro, infatti, davano luogo ad abusi di vario genere, in termini di poca o nulla formazione, e si erano trasformati, di fatto, soltanto in contratti di inserimento.

 

Il d.lgs. n. 276 del 2003 ha quindi riformato il sistema dei contratti formativi, con due operazioni:

  • il rilancio del contratto di apprendistato, unico contratto propriamente formativo.
  • l’abolizione dei contratti di formazione e lavoro, sostituiti da una nuova tipologia, il contratto di inserimento, destinato non soltanto, come in precedenza, ai giovani da 18 a 29 anni (strumento distorsivo di concorrenza), ma a varie categorie di lavoratori rientranti nel concetto di lavoratore svantaggiato .

Resta fuori da tale strumentario il tirocinio formativo (o stage), previsto dall’art. 18 della l. n. 196 del 1997, che non è un contratto di lavoro subordinato e il cui vantaggio consiste soltanto nel fruire di un’opportunità di esperienza professionale ed eventualmente di possibile futuro impiego

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