Al di sopra dell’orario normale, sempre su base settimanale, è stabilito un orario massimo, comprensivo delle ore di lavoro straordinario. Non ha rilievo che si tratti di prestazioni di lavoro tecnicamente straordinarie, oppure svolte in regime di orario multiperiodale, dal momento che l’orario deve essere comunque rispettato.

 La fissazione dell’orario massimo settimanale è demandata ai contratti collettivi di lavoro (art. 4 co. 1), sebbene tali contratti siano a loro volta assoggettati ad un limite legale <<in ogni caso>> non superabile, il quale ammonta a quarantotto ore per ogni periodo di sette giorni (co. 2). Tale soglia massima non può essere paragonata a quella previgente (cinquantadue ore), dal momento che essa è ricavata dall’indicazione di una durata media dell’orario di lavoro, e non da un tetto da rispettare settimana per settimana: la flessibilità, quindi, è penetrata anche nel regime dell’orario massimo.

La durata media dell’orario di lavoro deve essere calcolata con riferimento ad un periodo non superiore a quattro mesi (co. 3), il quale, tuttavia, può essere allungato fino a sei mesi oppure a dodici a fronte di ragioni obiettive, tecniche o inerenti all’organizzazione del lavoro (co. 4). Mentre un ampliamento sino a sei mesi può essere introdotto de plano dai contratti collettivi, se essi vogliono spingersi oltre devono giustificarlo attraverso la specificazione delle ragioni obiettive. Attraverso la facoltà di deroga concessa ai contratti collettivi, quindi, si riconosce la possibilità di ampliare l’orizzonte temporale entro il quale valutare il rispetto dell’orario massimo

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