Ai sensi dell’art. 9 dell’Accordo di Villa Madama, lo Stato riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano , si impegna ad assicurare l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubblica non universitarie di ogni ordine e grado agli studenti che abbiano scelto di volersi avvalere del predetto insegnamento. In uno Stato democratico e pluralista la scelta di privilegiare l’insegnamento di una specifica religione, tuttavia, giustifica qualche perplessità: sebbene nelle intese con le altre confessioni sia riconosciuto il diritto di rispondere alle eventuali richieste provenienti dagli alunni di altre confessioni religiose, infatti, questo non riduce il privilegio riservato alla Chiesa cattolica.

 Sulla base di questa sistema, l’insegnamento della religione cattolica non può essere collocato tra quelli a frequenza obbligatoria, e coerentemente la normativa neoconcordataria garantisce a ciascuno il diritto di scegliere se avvalersi o meno di tale insegnamento . In tale prospettiva, tuttavia, potrebbe essere doveroso allargare la presenza nella scuola ad altre scelte in ordine allo studio del fatto religioso. Risulta comunque piuttosto difficile coniugare l’uguaglianza degli alunni e l’esercizio del diritto di ciascuno di scegliere se avvalersi dell’insegnamento in esame:

  • il problema di individuare il soggetto legittimato alla scelta è stato risolto dalla l. n. 281 del 1986, che ha attribuito agli studenti della scuola secondaria superiore la capacità di esercitare personalmente il diritto (art. 1);
  • il problema delle modalità di scelta è risolto subordinando l’insegnamento della religione cattolica ad una scelta positiva dell’utente, anche se sarebbe meglio che questa scelta fosse spontanea e non sollecitata dalla scuola;
  • il problema principale, in parte irrisolto, è dato dalla necessità di evitare che da questa scelta derivi una qualche forma di discriminazione. L’insegnamento della religione cattolica, quindi, deve svolgersi in orari e con modalità non discriminanti per gli alunni. L’idea della necessità di garantire un tempo scuola uguale per tutti ha fatto pensare che il sistema scolastico dovesse offrire occasioni di studio alternativa a coloro che avessero scelto di non avvalersi dell’insegnamento, un tentativo fallito, soprattutto per la prevista obbligatorietà delle attività alternative, che finiva per trasformare l’insegnamento della religione cattolica da facoltativo in alternativo:
    • in un primo intervento la Corte costituzionale ha stabilito che l’unica alternativa legittima al corso di religione cattolica è uno stato di non obbligo ;
    • in un secondo intervento la Corte costituzionale ha precisato che lo stato di non obbligo non ha il fine di rendere equivalenti e alternativi l’insegnamento di religione cattolica ed altro impegno scolastico : la serietà delle motivazioni che sorreggono la scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica, infatti, non può essere scalfita dall’offerta di opzioni diverse. Lo stato di non obbligo, quindi, può comprendere anche la scelta di allontanarsi o assentarsi dall’edificio scolastico;
    • in un terzo intervento la Corte costituzionale ha chiarito l’estraneità all’area di tutela della libertà religiosa delle modalità di impegno o disimpegno scolastico connesse all’organizzazione interna della scuola.

 In ogni caso appare preferibile che nella scuola si impartisca un insegnamento del fatto religioso (non catechisticamente), che ne valorizzi il significato nello sviluppo delle società civili e nella formazione della persona. Meno positivo, al contrario, sarebbe introdurre nella scuola pubblica una pluralità di insegnamenti religiosi (es. ora islamica), una proposta questa che legittimerebbe una distinzione tra gli alunni giustificata dalla loro appartenenza di fede.

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