La rilevanza costituzionale del fattore religioso trova il proprio baricentro nell’art. 8 co. 1, secondo cui tutte le confessioni sono ugualmente libere davanti alla legge (principio di neutralità). Tale disposizione si presenta come la regola fondamentale del diritto ecclesiastico italiano, sulla cui base orientare l’intero processo di formazione e di attuazione della normativa sulle confessioni religiose. L’obbligo costituzionale assunto dallo Stato ex art. 8 co. 1 manifesta un’unitarietà non contraddetta dalla circostanza che ai rapporti con la Chiesa cattolica il costituente abbia deciso di dedicare un’apposita disposizione mediante l’art. 7: tale norma, infatti, trova una giustificazione storica, data dalla necessità di non porre a rischio i benefici della Conciliazione tra Stato e Chiesa raggiunta con la stipulazione dei Patti lateranensi del 1929.
Tanto l’art. 7 quanto l’art. 8, comunque, esprimono il principio di bilateralità, che manifesta l’esigenza di rendere i rapporti con lo Stato funzionali al miglioramento delle condizioni di esistenza e di operatività delle confessioni religiose. Se il canone dell’uguale libertà è il nucleo fondamentale del principio di uguaglianza, peraltro, non è in contrasto con tale norma un trattamento giuridico differenziato delle varie confessioni, a patto comunque che esso sia effetto di una disciplina speciale e non privilegiata.