- la sent. n. 360 del 1996, nel censurare la pratica della reiterazione dei decreti legge, si è appellata agli equilibri fondamentali della forma di governo;
- la sent. n. 379 del 1996, in tema di immunità parlamentari, ha cercato di definire in termini generali la posizione delle Camere nei confronti del potere giurisdizionale, richiamando l’equilibrio tra le istanze dello Stato di diritto e la salvaguardia di ambititi di autonomia parlamentare;
- la sent. n. 7 del 1997 ha risolto il caso Mancuso, ossia il conflitto sollevato dal ministro Mancuso contro la sfiducia individuale. L’interesse di questa pronuncia sta nel fatto che in essa sono stati richiamati alcuni principi di carattere generale relativi all’impianto del nostro governo parlamentare:
- la Corte muove da una visione storica del nostro governo parlamentare, la cui struttura (titolo II parte II Cost.) è stata completata attraverso regolamenti parlamentari e prassi applicative;
- la Corte rileva come la relazione tra Parlamento e Governo si snodi secondo uno schema nel quale dove esiste un indirizzo politico esiste responsabilità e dove esiste responsabile non può che sussistere rapporto fiduciario. Se l’attività del Governo è ispirata al principio di collegialità , quindi, l’attività del singolo ministro deve raccordarsi all’unitario obiettivo della realizzazione dell’indirizzo politico;
- la Corte trae la conseguenza dell’ammissibilità della sfiducia individuale, come istituto destinato a rafforzare la collegialità dell’esecutivo attraverso la sanzione dei comportamenti di un singolo ministro che mettano a repentaglio l’unità dell’indirizzo politico governativo.
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Da queste tre pronunce, ma soprattutto dalla sent. n. 7, emerge in termini molto chiari la visione che la Corte ha della nostra forma di governo, una visione non limitata ai rapporti endo-governativi, ma inerente all’intero sistema di relazioni tra organi istituzionali. L’asse portante della pronuncia, in particolare, è centrata sull’unitarietà e omogeneità dell’indirizzo politico e sulla forma di governo come risultante degli equilibri istituzionali.
L’analisi di quest’ultima sentenza, peraltro, ci permette di chiarire l’interrogativo posto in precedenza in ordine al ruolo svolto dalla Corte nell’attuale fase di transizione: difesa rigorosadell’impianto costituzionale (ruolo conservativo) ma al tempo stesso apertura ad interpretazioni evolutive del modello (ruolo innovativo).