Efficacia dell’atto giuridico indica la sua idoneità a produrre effetti (conseguenze giuridiche), nonché allo stesso tempo il complesso medesimo di tali conseguenze.
L’efficacia dell’atto si verifica per regola al momento in cui esso si perfeziona, ovvero si verifichino le circostanze previste perché quel determinato tipo di atto produca i suoi effetti.
Ciò non significa che si siano concretizzati tutti gli elementi strutturali previsti dalla fattispecie norma-tiva dell’atto stesso tali da consentirne la qualificazione siccome atto conforme alla norma: il perfezio-namento dell’atto ai fini della sua efficacia si verifica sol che esso abbia acquisito quegli elementi mi-nimi che ne consentono l’identificazione come atto ascrivibile al tipo normativo cui vengono imputati quei determinati effetti.
Che esso sia riconoscibile come atto del tipo.
Il profilo dell’efficacia è del tutto separato da quello della validità.
In diritto amministrativo la fattispecie tipica di esercizio del potere consta, di regola, di una serie artico-lata di atti (il procedimento) che culmina in un atto terminale, che viene considerato dalla norma come quello che definisce la fattispecie stessa e ne produce gli effetti (atto ed efficacia esterna).
La conformità alla norma della fattispecie concreta di esercizio del potere (la sua validità) postula l’intero compimento in tutti i suoi passaggi della vicenda procedimentale, laddove l’efficacia è collegata ad un solo momento di questa, il provvedimento appunto.
Efficacia indica un rapporto di condizionalità tra un fatto ed un effetto.
L’effetto giuridico non è a sua volta un fatto, ma è un valore, un dover essere, che può tradursi in fatto; ma ciò non avviene necessariamente ed è comunque vicenda ulteriore rispetto alla produzione dell’effetto e non rilevante ai fini della produzione stessa (distinzione tra efficacia ed esecuzione dell’atto).
Si distinguono tre tipi di efficacia giuridica in teoria generale.
Efficacia costitutiva è quella che si estrinseca in trasformazioni giuridiche in senso tecnico, distinte nelle figure rispettivamente della costituzione, della modificazione, dell’estinzione di situazioni giuridiche.
Spesso gli effetti costitutivi si producono plurimi e differenziati da un unico atto giuridico, in capo a più soggetti.
Se efficacia costitutiva viene intesa come quella che indica ogni fenomeno innovativo (che costituisce qualcosa in termini giuridici e perciò innova ala realtà giuridica) essa coincide con ogni forma di effi-cacia giuridica (laddove non c’è innovazione della realtà giuridica non c’è effetto).
Ma esistono altri tipi di efficacia non costitutiva, ma comunque innovativa (Falzea).
Efficacia dichiarativa è quella che dà luogo a svolgimenti interni di situazioni giuridiche (lasciandone intatto il contenuto strutturale e sostanziale) (Falzea).
In teoria generale si evidenziano tre figure di efficacia dichiarativa (che corrispondono, mutatis mutandis, alle tre figure di efficacia costitutiva sopra menzionate); quelle rispettivamente del rafforzamento, della specificazione e dell’affievolimento di situazioni giuridiche esistenti.
Il rafforzamento (che trova nei negozi ricognitivi del diritto civile il suo modello) si ha nei casi in cui l’atto, pur non producendo alcun effetto in ordine all’esistenza della situazione, produce un mutamento della stessa di tipo rafforzativo.
Ad es. in diritto civile il riconoscimento del debitore vale a impedire che l’obbligazione si estingua per prescrizione.
La specificazione si ha laddove l’effetto consiste nella semplice specificazione o determinazione del contenuto della situazione giuridica.
Ciò è necessario nei casi di impossibilità di prevedere in anticipo gli atteggiamenti che l’interesse giu-ridico verrà ad assumere nel corso della sua esistenza prima di giungere alla completa realizzazione (Falzea).
In diritto privato vengono ricordati i casi del rapporto di lavoro e del rapporto di mandato, nei quali ri-spettivamente gli ordini del datore di lavoro e le istruzioni del mandante assolvono alla funzione di specificare nelle singole circostanze l’obbligo della prestazione.
L’affievolimento, opposto del rafforzamento, è indicato come la riduzione dell’originaria efficienza della situazione giuridica (ad es. la cancellazione dei beni demaniali dagli elenchi).
Efficacia preclusiva si ha laddove l’atto anziché costituire ex novo qualche effetto lo rende incontesta-bile nell’ordinamento (se non attraverso rimedi del tutto propri).
Atti ad effetto preclusivo sono gli atti di accertamento, diretti a rendere giuridicamente certa una situa-zione obiettivamente incerta, precludendone quindi ulteriori contestazioni (se non, appunto, attraverso rimedi del tutto propri).
L’efficacia preclusiva strettamente intesa è propria degli atti giurisdizionali.
L’atto di accertamento produce l’acquisto del valore giuridico della certezza in ordine alla situazione oggetto dell’accertamento.
Oggetto dell’accertamento è la situazione nella sua realtà e verità, ma una volta essa accertata, tradotta nell’atto di accertamento, ciò che acquista certezza giuridica è la situazione quale tradotta nell’atto, per rimuovere il quale occorre un procedimento particolarmente complesso (che per gli atti amministrativi di certezza è il procedimento della querela di falso: 221 ss. c.p.c.).
L’effetto è prodotto da un fatto (da un atto).
Ma esso non è a sua volta un fatto, ma è un valore.
È d’uopo distinguere gli effetti che danno luogo a situazioni giuridiche finali (ad es. diritto di proprietà) ed effetti che danno luogo a situazioni giuridiche strumentali (ad es. diritto di credito).
La differenza è data da ciò, che le situazioni giuridiche finali sono immediatamente satisfattive degli in-teressi di colui nella cui sfera si producono (anche se spesso abbisognano anch’esse per la piena soddi-sfazione dell’interesse di un’attività esecutiva); mentre le situazioni giuridiche strumentali sono satisfattive solo nei limiti in cui sono seguite dall’effettivo adempimento dell’obbligato (anche se esse a lo-ro volta si traducono in un fatto almeno parzialmente satisfattivo in se medesimo).
Si può parlare dunque rispettivamente di efficacia finale e di efficacia strumentale.
Dall’effetto giuridico deriva quindi la necessità (riconosciuta dall’ordinamento come valore) che si producano, sul piano materiale, quei fatti previsti dall’atto come contenuto della situazione giuridica da esso prodotta.
Gli atti amministrativi sono, come sappiamo, atti di esercizio di potere.
Ed il potere, come capacità giuridica speciale, è attribuito dalla legge all’autorità amministrativa, perché curi (realizzi in concreto) determinati interessi pubblici.
In molteplici casi, ed attraverso strumenti diversificati, è prevista in capo all’autorità amministrativa (a determinate autorità amministrative) la capacità di portare a realizzazione (trasformare l’effetto in fatto), anche coattivamente (cioè a fronte dell’inadempimento o della renitenza dell’obbligato) ed anche nell’ambito della sfera giuridica di esso propria, il contenuto dispositivo degli atti amministrativi.
L’efficacia si produce nel tempo e nello spazio secondo modalità differenziate.
La considerazione dell’efficacia nel tempo si evidenzia anzitutto nella fissazione del momento in cui gli effetti si producono, ovvero in cui iniziano a prodursi (se si tratta di atti ad efficacia durevole).
Vi sono atti ad efficacia istantanea, i cui effetti si producono ad un determinato momento, nel quale l’efficacia stessa dell’atto si esaurisce.
Vi sono atti ad efficacia permanente, o durevole, i cui effetti, che iniziano a prodursi da un certo mo-mento, si prolungano nel tempo sino ad altro momento ovvero in ipotesi permanentemente.
L’efficacia durevole può essere indicata come quella che si estrinseca in diritti od obblighi di dare o di facere, costituiti dal provvedimento e protratti nel tempo, in modo continuativo ovvero mediante una dislocazione per successive scadenze.
Insomma, nel provvedimento ad efficacia durevole trova la sua origine una attività che inizia a decorre-re e si protrae nel tempo.
Il momento in cui gli effetti si producono, od iniziano a prodursi, coincide di regola con il momento del perfezionamento dell’atto giuridico.
Stabilire quando ciò avvenga è un problema di interpretazione, da risolvere caso per caso sulla base della disciplina vigente.
Il momento del perfezionamento della fattispecie anche nei casi in cui non coincide con quello dell’efficacia della stessa mantiene una sua autonomia rispetto a quest’ultimo, perché:
- la normativa applicabile alla fattispecie è di regola quella in vigore a tale momento, anche se antecedente al momento dell’efficacia;
- la fattispecie perfezionata, ancorché non ancora efficace, ha sempre una sua rilevanza giuridica, e produce sia pur limitate conseguenze giuridiche.
La non coincidenza del momento del perfezionamento della fattispecie con quello della sua efficacia si verifica in tre differenti ordini di casi.
Atti recettizi: essi diventano efficaci al momento in cui pervengono alla conoscenza del destinatario, secondo i principi di cui al 1335 c.c.; ed a volte è richiesta una vera e propria manifestazione di volontà (accettazione) da parte del destinatario.
Il momento in cui l’atto entra nella sfera conoscitiva del destinatario, sia chiesta o meno una specifica manifestazione di volontà da parte di questi, e non il momento del perfezionamento dell’atto come fat-tispecie giuridica, è quello nel quale si producono gli effetti o quello dal quale gli effetti iniziano a pro-dursi nel caso di atti ad efficacia durevole.
Stabilire in quali casi si tratta di atto recettizio è problema di interpretazione che va risolto caso per caso.
Per regola, tali sono gli atti che impongono al destinatario obblighi di dare o di facere.
Atti la cui efficacia è sottoposta a termine iniziale o a condizione sospensiva: il termine iniziale indica un momento temporale predeterminato (dallo stesso atto o dalla legge) dal quale gli effetti si producono: fatto certo dunque, ma posposto nel tempo rispetto al momento del perfezionamento dell’atto.
La condizione sospensiva invece indica un fatto, naturale od umano, futuro e incerto (ma possibile: la condizione impossibile in certi casi rende nullo l’atto) comunque diverso da un mero fatto temporale, determinato dallo stesso atto o dalla legge, al verificarsi del quale gli effetti si producono.
La condizione, diversamente dal termine, opera retroattivamente (1360 c.c.), salve eccezioni.
Atti amministrativi sottoposti a procedimenti di controllo (c.d. preventivo).
Si tratta di una specie di condizione sospensiva, propria del diritto amministrativo.
Nei casi previsti dalla legge, determinate categorie di atti amministrativi una volta perfezionatisi diven-gono oggetto di un successivo procedimento (di secondo grado) nel quale un’autorità a ciò espressa-mente deputata acclara se l’atto è legittimo, cioè conforme alla normativa che lo riguarda.
Ove questo procedimento abbia esito positivo (la condizione sospensiva si avvera), allora l’atto acquista efficacia ex tunc; in caso contrario, l’atto non diviene efficace ed in certi casi viene eliminato come fattispecie giuridica (annullato).
La regola sopra enunciata, di carattere generalissimo (11 preleggi), che la produzione degli effetti decorre per regola dal momento del perfezionamento dell’atto, solleva il problema della retroattività.
Atto retroattivo è quello che per legge o per sua propria natura (come fattispecie giuridica dotata di cer-te caratteristiche) ovvero per sua stessa determinazione produce effetti retrotratti nel tempo.
La possibilità che vengano fissati dai singoli provvedimenti, per determinazione discrezionale dell’Amministrazione, termini retroattivi di efficacia, incontra molti limiti; e non è ammessa ad es. in tutti i casi di provvedimenti in senso lato ablatori, che incidono sfavorevolmente sui diritti del destina-tario.
Tutt’altro problema è quello dei limiti sussistenti in fatto per l’operatività in concreto dell’efficacia retroattiva di determinati atti, laddove essa si va a scontrare con effetti già prodotti, con situazioni già consolidate.
Si pensi ad es. che venga annullato (con efficacia quindi retroattiva) un procedimento di pubblico concorso, mediante il quale sono stati assunti come pubblici impiegati alcuni soggetti presso una organiz-zazione pubblica.
Sul punto operano due principi di carattere generale, l’uno che viene espresso nell’affermazione factum infectum fieri nequit (l’irresistibile forza del fatto compiuto avverso la sua rimozione); e l’altro che viene espresso come principio di buona fede, o di affidamento (inteso a tutelare gli interessi di soggetti terzi che, in buona fede appunto, hanno dato esecuzione all’atto, successivamente travolto).
Quanto al primo, si danno dei fatti in diritto amministrativo il cui stesso esistere risponde ad un interes-se pubblico preminente tale da non consentirne la rimozione una volta prodottisi anche iniure.
Così ad es. l’opera pubblica, poniamo una strada, una volta realizzata ed aperta al pubblico, diviene vincolata alla sua stessa destinazione e non rimuovibile per fatti di diritto comune (828 c.c.).
In casi come questi, la retroattività dell’atto di annullamento trova un limite di operatività insuperabile, e necessariamente deve essere sostituita con strumenti alternativi quali il risarcimento del danno.
Quanto al secondo, in diritto amministrativo si presume la sussistenza della buona fede in ogni soggetto che ha dato esecuzione ad atti della pubblica autorità (ha agito presumendo la legittimità degli atti stes-si).
Laddove in concreto opera codesto principio, al soggetto di buona fede non può essere opposto l’annullamento al fine di rimuovere gli effetti prodottisi in capo a lui e favorevoli.
Ancora, il problema dell’operatività dell’efficacia retroattiva degli atti amministrativi (e segnatamente degli atti di annullamento) si pone in ordine agli atti amministrativi conseguenziali rispetto a quello successivamente travolto.
Viene annullato il concorso; ma nel frattempo, sulla base del concorso stesso, sono stati emanati gli atti di nomina dei vincitori, che sono a loro volta atti amministrativi perfetti ed efficaci.
Questi cadono automaticamente una volta annullato il concorso, ovvero restano in vita fintanto che non vengano alla loro volta annullati, in una delle forme previste?
Si tratta di questione ancora molto perplessa che non ha trovato una stabile soluzione; si può affermare con certezza solo che l’atto conseguenziale per effetto dell’annullamento del presupposto diviene ille-gittimo ab origine: illegittimità derivata.
In conseguenza, esso può essere annullato nelle diverse forme previste, ove ne ricorrano le rispettive condizioni.
L’operatività in concreto dei limiti alla retroattività c.d. reale (che impediscono, in fatto e in diritto, che gli effetti di un atto siano retrotratti al momento anteriore) dà luogo a quella che viene denominata re-troattività obbligatoria, ossia, normalmente, un obbligo di risarcimento a carico del soggetto beneficiato dalla situazione costituitasi medio tempore e che il fatto od atto ulteriore mira, senza riuscirvi integral-mente, a cancellare (Corso).
Una manifestazione di retroattività c.d. obbligatoria, tipica nel diritto amministrativo, si ha in tutti i casi in cui la realizzazione in concreto di effetti retroattivi richiede adempimenti procedimentali complessi.
L’efficacia del provvedimento amministrativo può essere esaminata sotto il profilo spaziale (efficacia nello spazio: in quale ambito territoriale si producono gli effetti dell’atto).
Qui il problema si pone segnatamente per gli atti a contenuto generale, normativi e non, che coinvolgono una serie indeterminata di posizioni soggettive la cui individuazione va fatta tenendo conto proprio dell’ambito territoriale nel quale l’atto è tenuto a produrre effetti.
Per gli enti territoriali il territorio relativo costituisce limite invalicabile all’efficacia dei loro atti: così da rendere “inesistenti” (nulli) gli atti stessi per la parte del loro contenuto dispositivo che prevede effetti in ordine a persone o beni dislocati al di fuori del territorio di competenza.
Vi sono però eccezioni legislative a detto principio: atti emanati da organi di enti territoriali che espli-cano efficacia nazionale o comunque ultraterritoriale.
Stesso principio vale per gli atti degli organi dello Stato a competenza territoriale limitata, e così le pre-fetture, le questure, i provveditorati agli studi, etc.
La limitazione territoriale della competenza comporta limitazioni all’efficacia territoriale degli atti di pertinenza di detti organi.
Qui tuttavia è da ritenere che la violazione del principio non comporti nullità degli atti ma semplice il-legittimità (annullabilità) per vizio di incompetenza.
Tuttavia, si deve notare che gli atti concernenti status o capacità delle persone, documenti di ricono-scimento e simili, vengono rilasciati dagli enti o dagli organi territorialmente competenti nel luogo in cui la persona ha la propria residenza (ad es. la patente di guida dei veicoli viene rilasciata dall’ufficio provinciale della motorizzazione civile per tutti i soggetti residenti nel territorio provinciale): gli atti ri-lasciati in questi casi esplicano indubbiamente un’efficacia ultraterritoriale, nazionale ed ultranazionale, mentre l’organo competente a rilasciarli è un organo a competenza territoriale limitata.
Esecuzione indica il complesso delle attività, a loro volta rispettivamente giuridiche (atti e procedimenti) o materiali (operazioni), intese a realizzare sul piano materiale gli effetti giuridici dell’atto di cui si tratta: a tradurre in fatto l’effetto, soddisfacendo il relativo interesse.
La c.d. esecutorietà indica, nel lessico giuridico generalmente seguito, l’attitudine del provvedimento ad essere attuato coattivamente (Carpi).
Ciò significa che in determinati casi all’esecuzione del provvedimento provvede la stessa Amministra-zione (quella che ha emanato il provvedimento od altra prevista dalla legge), anche se ciò necessita in-vasione della sfera giuridica reale altrui (Corso); ed in casi del tutto eccezionali anche attraverso coa-zione fisica in personam.
Questo fenomeno dell’esecutorietà si verifica in due ordini di casi.
Anzitutto il fenomeno si verifica laddove lo stesso contenuto dispositivo del provvedimento comporta la sua diretta ed immediata esecuzione, anche nell’ambito della sfera di soggetti terzi, a prescindere dall’apporto dell’attività di questi (provvedimenti ablatori reali).
In secondo luogo, il fenomeno si verifica laddove, a fronte di obblighi di dare o di facere imposti a terzi per effetto di determinati provvedimenti (della specie degli ordini) è previsto che in caso di inadempi-mento di questi l’Amministrazione competente (quale stabilita dalla legge) possa attivare un procedi-mento esecutivo (cioè inteso all’esecuzione dell’obbligo imposto dal primo provvedimento e non adempiuto).
Circa il primo ordine di casi, la gran parte dei provvedimenti ablatori reali (espropriazione, requisizione, occupazione d’urgenza, etc.) ha un contenuto dispositivo doppiamente imperativo: perché, oltre a produrre l’effetto estintivo o modificativo della situazione giuridica altrui (ad es. estinzione della pro-prietà), prevede anche l’immissione nel possesso della res oggetto del provvedimento (ad es. la cosa espropriata) da parte del soggetto a cui favore il provvedimento è pronunziato.
L’espropriato per effetto del provvedimento di espropriazione non solo perde la proprietà della cosa, ma ne perde anche immediatamente il possesso.
Il provvedimento una volta perfezionato viene comunicato al soggetto nella cui sfera s’è prodotto l’effetto ablativo.
Se si tratta di occupazione d’urgenza (le espropriazioni non precedute da occupazioni d’urgenza costi-tuiscono un’evenienza assolutamente marginale) il provvedimento deve contenere l’indicazione di un momento temporale (giorno ed ora) nel quale in loco deve avvenire la compilazione dello stato di con-sistenza del fondo da occupare, unico ma indispensabile adempimento previo rispetto all’immissione in possesso.
La compilazione dello stato di consistenza avviene in contraddittorio con gli interessati, di cui viene redatto apposito verbale.
In assenza del proprietario, od altri aventi titolo, lo stato di consistenza viene redatto dall’Amministrazione facendo constatare l’assenza di quelli.
Altri provvedimenti, tra quelli ablatori, che comportano senz’altro l’esecuzione, come componente essenziale del loro stesso contenuto dispositivo, sono quelli ascrivibili alla specie delle ispezioni.
Circa il secondo ordine di casi, si tratta dei provvedimenti ascrivibili alla specie degli ordini, che sono quelli che impongono ad un soggetto un obbligo di dare o di facere.
L’inadempimento di codesto obbligo, una volta acclarato dall’Amministrazione stessa, rende attivabile da parte degli organi competenti il potere di eseguire direttamente, con mezzi propri, ma a spese del terzo inadempiente, l’attività che questi avrebbe dovuto eseguire.
Questo procedimento è denominato esecuzione d’ufficio.
Si tratta di prestazioni fungibili consistenti in obblighi di facere.
Il provvedimento di ordine (in genere denominato “diffida”) impone al terzo l’obbligo di eseguire l’attività entro un certo termine, trascorso il quale e acclarato l’inadempimento, l’Amministrazione esegue, d’ufficio appunto, l’attività stessa; anche se trattasi di attività da eseguire nell’ambito della “sfera giuridica reale” del terzo, a spese di questo.
In altri casi, obblighi di facere imposti da ordini amministrativi constano di prestazioni infungibili, che necessitano un’azione della persona dell’obbligato.
Vi sono casi legislativamente previsti in cui può essere esercitata dall’Amministrazione una certa forma di coazione fisica sulla persona, al fine di ottenere in fatto l’adempimento di determinati obblighi.
I procedimenti di controllo. In determinati casi, l’efficacia del provvedimento è condizionata dal perfezionamento di un ulteriore procedimento amministrativo, che a sua volta ha ad oggetto il provvedi-mento stesso (procedimento, appunto, di secondo grado).
Tale procedimento è imputato ad un’autorità “terza” rispetto a quella che ha emanato il provvedimento, comunque separata dall’Amministrazione procedente; ed è inteso alla valutazione della legittimità ed in alcuni casi anche dell’opportunità (il merito) del provvedimento emanato.
In proposito si suole parlare si fase integrativa dell’efficacia del provvedimento.
In realtà, il fatto che determinati provvedimenti amministrativi, una volta perfezionatisi, siano sottoposti dalla legge a procedimento di controllo, ridonda sull’efficacia dei provvedimenti stessi, e non sulla loro rilevanza come atti giuridici.
Una volta intervenuto il controllo, l’atto acquista piena efficacia dalla data di adozione.
In alcuni casi, e per regola nell’ambito del controllo sugli atti regionali e locali, la legge consente che l’atto sottoposto al controllo possa essere dichiarato dall’organo che lo ha emanato “immediatamente eseguibile, per specifiche ragioni di urgenza che ne rendano indilazionabile l’esecuzione”.
Nel caso di “immediata esecuzione”, l’efficacia dell’atto si verifica al momento stesso del suo perfezionamento.
I procedimenti in esame sono denominati di controllo preventivo, dove l’aggettivo temporale è riferito al momento di acquisizione dell’efficacia da parte del provvedimento.
L’aggettivo serve per distinguere questa specie di controllo da quello successivo, che non incide sull’efficacia.
Il provvedimento una volta perfezionatosi viene trasmesso nei termini di legge all’organo cui è imputato il potere di controllo (iniziativa del procedimento di controllo).
Esso, attraverso i suoi uffici, compie un’istruttoria sul provvedimento da controllare, acquisisce tutti gli elementi necessari per l’esercizio del potere di controllo, relativi alle vicende procedimentali, ai fatti ed agli interessi che ne sono oggetto, a seconda del tipo di controllo da esercitare.
L’istruttoria può anche avvenire in contraddittorio.
Terminata l’istruttoria, l’organo collegiale o monocratico titolare del potere di controllo decide circa la legittimità od anche, laddove previsto, circa l’opportunità del provvedimento, esternando la sua deci-sione in un atto scritto che viene comunicato all’organo controllato.
A volte la legge prevede la formazione del silenzio assenso in sede di controllo: il decorso di un certo tempo senza che l’autorità controllante si sia pronunciata produce il medesimo effetto dell’esercizio po-sitivo del potere di controllo.
Ove l’atto sia di segno positivo, suo effetto è quello di dare piena efficacia al provvedimento controlla-to, efficacia che retroagisce al momento in cui il provvedimento stesso s’è perfezionato (l’efficacia in tali casi resta sospesa).
Ove l’atto di controllo sia di segno negativo, il provvedimento controllato non acquista efficacia.
In alcuni casi esso viene annullato in senso tecnico con lo stesso atto negativo di controllo.
In ordine agli effetti eventualmente già prodottisi del provvedimento sottoposto a controllo con esito negativo si riproduce la consueta problematica della retroattività e dei suoi limiti.
Il controllo di merito, che era tipico di alcune categorie di atti degli enti locali, è ormai da ritenere defi-nitivamente soppresso, a seguito della l. Cost. 3/2001 che ha abrogato il 125 ed il 130 Cost.
Non tutti i provvedimenti amministrativi sono sottoposti a procedimenti di controllo.
Dal procedimento di controllo vero e proprio si distinguono i controlli di ragioneria, intesi alla verifica previa della regolarità contabile dei singoli atti di spesa (o comunque produttivi di spesa) da parte di ogni Amministrazione.
Per gli atti dello Stato, questo controllo di ragioneria affidato agli Uffici centrali del bilancio (ex ragio-nerie centrali) assume particolare formalizzazione.
L’atto, una volta perfezionato, viene trasmesso all’Ufficio centrale del bilancio.
Se si tratta di atto comportante impegno di spesa, l’Ufficio centrale registra l’impegno di spesa: trascorsi 10 giorni dalla registrazione dell’impegno, i provvedimenti acquistano efficacia.
Vi sono atti che conservano il duplice controllo, della Ragioneria e della Corte dei conti: in questi casi è prevista la comunicazione contestuale dell’atto ad entrambi essi, e la trasmissione dei rilievi della Ra-gioneria anche alla Corte dei conti oltre che all’Amministrazione.
La l. Corte conti (20/1994) sottopone a controllo preventivo di legittimità alcuni atti dello Stato (3.1): ad es. i provvedimenti emanati a seguito di deliberazione del Consiglio dei Ministri; gli atti normativi a rilevanza esterna, atti di programmazione comportanti spese ed atti generali attuativi di norme comuni-tarie; i provvedimenti di disposizione del demanio e del patrimonio immobiliare; etc.
Sono esclusi gli atti emanati nelle materie monetaria, creditizia, mobiliare e valutaria (3.13).
Il procedimento si svolge in una fase necessaria ed in due successive fasi eventuali.
Nella prima fase un consigliere della Corte esamina l’atto, e se lo riscontra legittimo vi appone un visto e ne dispone la registrazione: il procedimento si chiude con esito positivo.
Se ritiene invece che l’atto o decreto non debba essere ammesso al visto ed alla registrazione, viene promossa una pronuncia motivata della Sezione di controllo.
La Sezione può ammettere l’atto al visto ed alla registrazione: si chiude la seconda fase del procedimento con esito positivo.
La Sezione però può anche rifiutare il visto e la registrazione, ed in tal caso la relativa deliberazione viene trasmessa al ministro competente: questi può limitarsi a prendere atto del rifiuto di visto da parte della Corte, ed in tal caso l’atto rimane privo di effetti, oppure può sottoporre la questione al consiglio dei ministri (si apre così la tersa fase, eventuale, del procedimento).
Il Consiglio dei ministri può decidere che l’atto o decreto debba avere corso: in questo caso la Corte è chiamata a deliberare a sezioni riunite, e qualora non riconosca cessata la causa del rifiuto ordina la re-gistrazione (dell’atto) e vi appone il visto con riserva.
La riserva non impedisce all’atto di acquistare pienezza di effetti, ma può produrre conseguenze di or-dine politico per il Governo: la Corte comunica periodicamente alle Camere l’elenco degli atti registrati con riserva.
Alcune categorie di atti, come gli atti di spesa eccedenti gli stanziamenti di bilancio, non possono essere registrati con riserva.
Viene stabilito un termine di 30 giorni dal ricevimento dell’atto da parte della Corte, allo spirare del quale i provvedimenti sottoposti al controllo acquistano efficacia se l’ufficio di controllo non ne ha ri-messo l’esame alla sezione del controllo.
La l. 340/2000 dice che gli atti trasmessi alla Corte dei conti per il controllo preventivo di legittimità divengono in ogni caso esecutivi trascorsi 60 giorni dalla loro ricezione, senza che sia intervenuta una pronuncia della Sezione del controllo.
Il procedimento di controllo, se si conclude con esito positivo, si formalizza in un duplice atto: un visto che viene apposto sullo stesso testo dell’atto controllato, e la registrazione di questo, cioè la sua anno-tazione in documenti conservati dalla Corte dei conti (i registri appunto).
Se il provvedimento si conclude con esito negativo, ciò non viene formalizzato in alcun atto (si ha qui un caso di “non atto”): semplicemente si verifica la conseguenza che l’atto sottoposto a controllo non acquista efficacia.
Esso non viene annullato.
Il procedimento di controllo davanti alla Corte dei conti (a differenza degli altri procedimenti di con-trollo principali) non si formalizza in un provvedimento autonomo rispetto all’atto sottoposto al con-trollo, quindi non può essere a sua volta oggetto di impugnazione o di sindacato.
L’unico provvedimento impugnabile resta quello sottoposto a controllo, una volta che sia divenuto efficace con l’apposizione del visto e la registrazione.
L’esito negativo del procedimento di controllo davanti alla Corte dei conti dà luogo al mero fatto della non registrazione: ciò lascia in vita l’atto e ne consente la successiva entrata in vigore laddove modifi-cazioni legislative rendano non più necessario il controllo preventivo.
Gli atti delle Regioni speciali sono sottoposti ad un sistema di controlli del tutto analogo a quello previ-sto per gli atti dello Stato ed esercitato dalla Corte dei conti.
Per gli atti delle Regioni speciali non è ammessa la registrazione con riserva.
Dai controlli c.d. preventivi si distinguono i controlli successivi.
Il controllo successivo sugli atti è un controllo di legittimità del tutto assimilato nella sua struttura a quello preventivo.
La distinzione tra i due tipi di controllo attiene alla differente incidenza dello stesso sull’efficacia degli atti che vi sono sottoposti.
Infatti l’atto sottoposto a controllo successivo acquista efficacia col suo perfezionarsi (non è perciò sot-toposto alla condizione sospensiva rappresentata dall’esito del controllo).
Ma resta in uno stato di pendenza, perché può essere oggetto di rilievo della Corte dei conti in punto di legittimità.
La determinazione della Corte in sede di controllo successivo circa la legittimità dell’atto, a parte ulteriori conseguenze in ordine alla responsabilità degli organi emananti, può dar luogo all’annullamento dell’atto da parte della stessa Amministrazione.
Vi è una posizione che emerge nella giurisprudenza della Corte dei conti che ritiene che il rilievo di le-gittimità della Corte stessa in via successiva comporti l’annullamento dell’atto, ed altra posizione che ritiene sussista in tal caso in capo all’Amministrazione attiva un vero e proprio obbligo di annullare l’atto (c.d. annullamento doveroso) (Sandulli).
Vicende dell’efficacia durevole e procedimenti di revisione. L’efficacia durevole di un atto è desti-nata a terminare.
Come il termine iniziale indica il momento temporale d’inizio dell’efficacia durevole di un atto, così il termine finale indica il momento temporale in cui questa viene a cessare.
Come la condizione sospensiva indica il fatto, futuro ed incerto, dal cui avverarsi si producono gli ef-fetti di un atto o ne comincia a decorrere l’efficacia, così la condizione risolutiva indica il fatto futuro ed incerto, al cui avverarsi l’efficacia (durevole) di un atto viene a cessare.
In genere i provvedimenti ad efficacia durevole costituiscono un vero e proprio rapporto giuridico fra il soggetto tenuto alla prestazione dell’attività sulla base del provvedimento e l’Amministrazione, con-trappuntato di reciproci poteri, facoltà ed obblighi.
In tali casi sono previsti in capo all’Amministrazione poteri che si estrinsecano in procedimenti di se-condo grado che incidono sull’efficacia in essere del provvedimento.
I poteri di che trattasi sono di tre specie, distinte tra loro a seconda del tipo di incidenza (effetto) che producono sull’efficacia in essere di un precedente provvedimento.
Si distinguono poteri di sospensione, intesi a sospendere per un certo periodo di tempo l’efficacia dure-vole di un provvedimento; poteri di proroga, intesi a protrarre ad un momento temporale successivo l’efficacia di un provvedimento che avrebbe dovuto cessare (termine finale) ad un certo momento; po-teri di revoca, intesi ad impedire un ulteriore protrarsi dell’efficacia di un provvedimento, che da quel momento cessa, eliminando la stessa fattispecie con efficacia ex nunc.
In materia non esiste una disciplina legislativa di carattere generale e sistematico, ma una miriade di di-sposizioni normative delle leggi di settore che spesso usano stessa terminologia per istituti diversi (ad es. revoca per annullamento, e viceversa).
Avverte il Consiglio di Stato che il termine “revoca” è frequentemente usato come sinonimo di “ritiro”, e cioè di eliminazione dell’atto, quali ne siano le ragioni, da parte della stessa autorità emanante.
L’assenza di discipline di specie circa i poteri in oggetto non significa assenza di regolamentazione: ché l’esercizio in concreto di essi è comunque retto dalla disciplina generale.
Ancora, i poteri in esame sono tutti poteri discrezionali, in senso proprio; e perciò mediante l’esercizio di ciascuno di essi si provvede alla cura concreta dell’interesse pubblico affidata all’Amministrazione di cui si tratta; la quale agisce secondo la disciplina generale di cui s’è detto, in ordine all’assunzione e valutazione degli interessi in gioco.
L’esercizio in concreto dei poteri in oggetto, a qualunque specie ascrivibile, presuppone sempre la sus-sistenza di un interesse pubblico specifico (da valutarsi in concreto).
La sospensione incide sull’esecuzione del provvedimento, non direttamente sull’efficacia (determinan-do “la quiescenza dell’esecutività e non l’inefficacia del provvedimento: Cass. 1259/1979).
Essa priva i titolari delle situazioni soggettive generate dal provvedimento ed aventi ad oggetto un determinato facere della legittimazione a porre in essere le relative operazioni (che divengono illecite) nel periodo di tempo in cui l’efficacia del provvedimento (rectius: l’esecuzione) resta sospesa.
Anche le attività imputate alla stessa Amministrazione, da porre in essere in esecuzione del provvedi-mento, possono essere oggetto di sospensione.
La sospensione presuppone quindi un provvedimento già perfezionato ed efficace, che deve essere ese-guito ovvero la cui esecuzione è in corso.
La sospensione per sua propria natura non può che operare per un periodo limitato e determinato o de-terminabile (una sospensione sine die sarebbe assimilabile alla revoca).
La sospensione può essere disposta con riferimento a specifiche ragioni di interesse pubblico, che deb-bono essere esplicitate.
Esse sono in principio sempre ascrivibili ad esigenze di tipo cautelare.
Sospensione in funzione cautelare può anche essere assunta in pendenza di giudizio (ordinario od am-ministrativo) avente ad oggetto il provvedimento di cui si tratta; ma ciò non costituisce un obbligo dell’Amministrazione.
Effetti di ordine puramente temporale produce l’esercizio del potere di proroga, inteso a protrarre nel tempo, posticipandolo ad un momento successivo, il termine finale di un provvedimento ad efficacia durevole.
L’efficacia durevole può essere sottoposta a termine finale.
In genere, salve eccezioni, questo termine può essere prorogato con provvedimento discrezionale dell’autorità amministrativa competente, assunto anteriormente alla sua scadenza (a pena, secondo al-cune affermazioni giurisprudenziali, di “inesistenza” dello stesso).
In ogni caso, una volta scaduto il termine, l’efficacia del provvedimento non può essere prorogata; e per l’eventuale continuazione del rapporto occorre procedere all’adozione di nuovo provvedimento, secon-do la tecnica della rinnovazione degli atti giuridici.
In ordine a questo secondo provvedimento il precedente titolare del rapporto si trova tuttavia ad avere una posizione di preferenza, o addirittura di insistenza (cioè, se ricorrono determinate condizioni, il provvedimento deve essere rinnovato in favore del precedente titolare).
La prorogabilità dei provvedimenti ad efficacia durevole è considerata dalla giurisprudenza un’ipotesi del tutto normale; anche a prescindere da espresse previsioni normative, e salve previsioni in contrario.
Art. 21-quinquies. Revoca del provvedimento.
1° comma. Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo ad efficacia durevole può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti dilettamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo. Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Comma 1 bis (introdotto dal d.l. 7/07. convertito in legge n. 40/07). Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico. Questo provvedimento produce la cessazione definitiva ed irreversibile dell’efficacia durevole di un altro provvedimento, con effetto ex nunc. Tuttavia non è il provvedimento ad essere colpito dalla revoca ma la sua efficacia. La revoca, come la sospensione, possono essere adottate sia dall’ ‘organo che ha emanato il provvedimento sia da altro organo previsto dalla legge, dove l’espressione “legge ” è da intendere in senso lato come fonte di norme giuridiche. Ad esempio, anche un regolamento può conferire poteri di revoca. La previsione generalizzata dell’indennizzo accomuna la revoca dei provvedimenti amministrativi al recesso unilaterale degli accordi dì cui all’art, lì
4° comma. L’espressione “pregiudizio in danno” usata in entrambe le norme è da intendere come quella che fa riferimento a conseguenze pregiudizievoli verificatesi in capo al soggetto che siano economicamente o patrimonialmente valutabili. Non si tratta in senso tecnico di danno per il cui risarcimento occorre l’esistenza dell’elemento soggettivo della colpa in capo ali ‘autore (Cons. St., IV, 15.2.2005 n. 478). Le controversie in materia di determinazione e corresponsione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del G.A. Dalla revoca bisogna distinguere altre misure previste dalla legge che possono produrre effetti simili quali il recesso, la decadenza ecc. Nei confronti dell’efficacia durevole del provvedimento, oltre alla sospensione ed alla revoca, è possibile applicare un provvedimento di proroga, inteso a protrarre il termine finale dello stesso. Anche la proroga è espressione del potere discrezionale da esercitare, a pena di illegittimità, anteriormente alla scadenza del termine stesso che, una volta scaduto, per l’eventuale prosecuzione del rapporto occorre procedere ali ‘adozione di un nuovo procedimento.