A differenza dell’indagato, la persona informata che mente commette un delitto, quello di falsa informazione. La persona informata, ossia quella capace di riferire circostanze utili ai fini delle indagini, deve essere distinta da quella del testimone, ossia della persona chiamata a deporre di fronte al giudice.

Una certa dottrina ritiene più corretta la terminologia che definisce la persona informata come possibile testimone: anche l’indagato, infatti, può essere una persona informata, ma il legislatore non da spazio ad alcuna commistione tra queste due figure, dal momento che estende alla seconda l’incompatibilità a testimoniare prevista per in relazione all’imputato (art. 197).

 

Una disciplina particolare viene predisposta per quanto concerne le c.d. dichiarazioni autoindizianti,  che si hanno nelle ipotesi in cui un soggetto chiamato a deporre in qualità di testimone (o di possibile testimone) renda dichiarazione tali da far emergere indizi di reità a suo carico. In tal caso l’autorità procedente deve (art. 63 co. 1):

  • interrompere l’esame, avvertendo la persona che a seguito delle dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti;
  • invitare la persona a nominare un difensore.

In nome del garantismo del c.p.p. le dichiarazioni rilasciate sino a quel momento dal testimone (o dal possibile testimone) non possono essere utilizzate a suo sfavore, ma solo a suo favore.

Un’altra ipotesi presa in considerazione dal nostro codice è quella dell’elusione della qualità di indagato (co. 2), che si ha qualora un soggetto che doveva essere sentito sin dall’inizio in qualità di indagato o di imputato viene sentito in qualità di persona informata dei fatti. Le dichiarazioni rilasciate in questo caso, chiaramente, sono inutilizzabili.

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