Le prerogative del difensore

Il difensore dell’imputato non è solamente titolare di diritti ma anche di precisi doveri e di alcune garanzie. Per quanto riguarda i doveri del difensore occorre ricordare:

A) Il dovere di evitare situazioni di incompatibilità: Tale dovere deriva dalla possibilità dell’avvocato, ai sensi dell’articolo 106 del c.p.p., di assistere più imputati dello stesso procedimento, purché le loro posizioni non siano L’incompatibilità si verifica quanto un imputato ha incaricato il difensore di sostenere una tesi difensiva assolutamente incompatibile con quella presentata allo stesso difensore da un altro imputato.

L’incompatibilità potrà essere rilevata d’ufficio dall’autorità procedente.

L’incompatibilità potrà essere superata volontariamente mediante rinuncia (ad uno dei mandati) da parte del difensore ovvero mediante revoca (del mandato) da parte dei clienti/imputati. In caso contrario interverrà il giudice (se l’incompatibilità è rilevata nella fase delle indagini preliminari, è necessaria una segnalazione della parte o del P.M.) che provvederà a sostituire l’avvocato che si trova in uno stato di incompatibilità con difensori nominati d’ufficio.

L’art. 106, co. 4 bis contempla un caso specifico di incompatibilità del difensore che assista più imputati che abbiano reso dichiarazioni concernenti la responsabilità di altro imputato nel medesimo procedimento o in un procedimento connesso o collegato.

Per la giurisprudenza, la sussistenza di questa incompatibilità non costituisce causa di nullità o di inutilizzabilità delle dichiarazioni resa da coimputati, comportando soltanto, oltre all’eventuale responsabilità disciplinare del difensore, la necessità, da parte del giudice, di una verifica incisiva relativamente alla loro attendibilità.

B) Il dovere di non abbandonare la difesa: questo dovere vuole garantire che l’imputato sia sempre difeso, anche nel caso di revoca del mandato e nomina di un nuovo difensore (in tal caso la difesa dell’imputato dovrà proseguire per il tempo necessario alla sostituzione del difensore). La violazione di questo dovere, indurrà l’autorità procedente a segnalare la questione al Consiglio dell’ordine degli avvocati affinché applichi le relative

C) Il dovere deontologico di lealtà e probità, previsto dal codice deontologico-professionale e richiamato dall’articolo 105 4° comma del c.p.p.: Si tratta di un dovere di correttezza che non implica, tuttavia, la collaborazione con l’accusa. Al contrario il difensore ha il dovere di ricostruire i fatti, tenendo conto in primo luogo della posizione del suo assistito e favorendone, ove possibile, l’assoluzione (ciò significa che il difensore potrà produrre, nel procedimento, solamente prove favorevoli al suo assistito).

D) Il dovere di garantire la massima segretezza e riservatezza, sulle questioni trattate con il suo assistito.

Passando ad esaminare le garanzie che vengono fornite dalla legge al difensore, occorre ricordare, la garanzia contro le perquisizioni. L’articolo 103 comma 2 del c.p.p. pone un limite alle perquisizioni o ispezioni che possono essere compiuti presso gli uffici del difensore (o dell’investigatore).

Tali controlli, infatti, sono possibili solamente quando il loro scopo è quello di accertare un reato di cui sono sospettati il difensore o i suoi collaboratori ovvero per ricercare cose o persone che sono elementi di quel reato (si pensi ad es. alla ricerca di un latitante, nascosto dal difensore all’interno del suo ufficio).

Secondo una parte della dottrina queste limitazioni alle perquisizioni e alle ispezioni, dovrebbero applicarsi anche all’imputato che detenga documenti utili alla difesa (in senso contrario, tuttavia, si è espressa la Corte di Cassazione che pur estendo la tutela ai luoghi diversi dall’ufficio in cui i difensori svolgono la loro attività, non ha ritenuto estendibile la disciplina di cui all’articolo 103 del c.p.p. anche all’imputato che custodisce documenti utili al processo).

Quando le ispezioni e le perquisizioni sono possibili, in quanto finalizzare ad accertare un reato ovvero a ricercane gli elementi, la legge impone delle garanzie procedimentali: le ispezioni, infatti, possono essere disposte solamente dall’autorità giudiziaria ed essere eseguite dal giudice o dal pubblico ministero. A pena di nullità dell’ispezione deve essere avvertito il Consiglio dell’ordine degli avvocati, così da permettere al presidente di inviare un delegato per assistere l’avvocato durante la perquisizione.

La garanzia contro le intercettazioni di cui all’articolo 103 comma 5 del c.p.p. vieta di intercettare le comunicazioni che intercorrono fra i difensori, gli investigatori, i consulenti tecnici ovvero fra questi soggetti e l’assistito. In realtà non tutte le comunicazioni sono garantite contro le intercettazioni ma solamente quelle riguardanti l’attività difensiva lecita.

Ciò significa che per i fatti non attinenti alla difesa i difensori, gli investigatori, i consulenti e l’assistito, possono essere sottoposti ad intercettazioni. Se tuttavia dopo l’ascolto si scoprissero fatti attinenti alla difesa, questi non potrebbero essere utilizzati in giudizio. Inoltre, ciò significa che la garanzia riguarda solamente la difesa lecita. Se ad esempio il difensore si accordasse con il suo cliente per progettare la sua evasione dal carcere, questa conversazioni potrebbe essere utilizzata in giudizio.

La garanzia di segretezza intorno alla corrispondenza scambiata fra difensore e assistito impone che essa non può essere sottoposta a controlli e sequestri, salvo che l’autorità giudiziaria ritenga che con dette comunicazioni si voglia commettere un reato.

La garanzia di poter avere un colloquio con il proprio assistito deve essere rispettata anche quando l’imputato/assistito è stato privato della libertà personale (finendo, ad esempio, in carcere). La legge, tuttavia, prevede la possibilità per il giudice, nel corso delle indagini preliminari, di differire i colloqui difensivi per un termine non superiore a 5 giorni e con decreto motivato, qualora sussistano comprovate ragioni di cautela. In caso di arresto e fermo, questo potere spetta direttamente al pubblico ministero che può differire il colloquio di 48 ore (articolo 104 commi 3 e 4 del c.p.p.).

Questa possibilità di differimento dei colloqui, appare in palese contrasto con l’articolo 24 della Costituzione che riconosce un fondamentale diritto alla difesa a tutti i cittadini. Questo atteggiamento del legislatore, sembra essere dettato dal convincimento che l’immediato incontro dell’imputato con il difensore, potrebbe avere un effetto dannoso sullo svolgimento delle indagini.

Tale convinzione è assolutamente incompatibile sia con il ruolo del difensore che con la terzietà e imparzialità che debbono caratterizzare l’intervento del giudice.

Il contrasto dell’articolo 104 del c.p.p. con il diritto alla difesa è ancora più evidente quando il differimento dei colloqui interviene mentre l’imputato è in stato di fermo. In questo caso lo scopo del differimento è chiaro: impedire al detenuto di parlare con il suo difensore prima dell’interrogatorio; in questo modo si evita il rischio di un esercizio consapevole della facoltà di non rispondere (di cui si è parlato nei par. precedenti) e c’è una maggiore possibilità di ottenere la collaborazione (spesso tramite l’intimidazione) dell’imputato.

Questa regola, oltre ad essere in contrasto con l’articolo 24 della Costituzione, si scontra anche con l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: esso prevede che l’imputato abbia diritto ad ottenere l’assistenza del difensore prima dell’inizio dell’interrogatorio.

 

La capacità dell’imputato

Perché l’imputato possa esercitare tutti i diritti e le facoltà di cui si è parlato nei paragrafi precedenti, è necessario che egli sia capace di partecipare al procedimento.

Secondo la giurisprudenza la capacità di stare in giudizio non deve essere identificata con la capacità di intendere e di volere. La prima, infatti, serve per stabilire se l’imputato comprende in significato degli atti che verranno compiuti nel procedimento a suo carico; la seconda a determinare se al momento della commissione del reato, egli era imputabile.

Questa interpretazione deriva dalla considerazione che se si ritenessero incapaci di partecipare al procedimento tutti i soggetti privi della capacità di intendere e di volere, sarebbe impossibile procedere al giudizio contro gli infermi e i semi-infermi di mente.

Detto ciò la giurisprudenza ritiene che un soggetto può essere considerato incapace di stare in giudizio, ogni volta che il suo stato mentale gli impedisce di partecipare attivamente al processo (in questa ipotesi vengono ricomprese non solo le patologie cliniche ma anche tutte le altre condizioni che rendano non utilizzabili le facoltà mentali dell’imputato anche solo in via provvisoria).

Al contrario non incide sulla capacità di stare in giudizio, l’incapacità dell’udito o della parola (cioè la capacità di parlare e di sentire); in tal caso la legge prevede la nomina di un interprete.

La dottrina, al contrario, ha ritenuto che per partecipare coscientemente al processo, l’imputato deve essere pienamente capace di intendere e di volere. Un vizio di mentre, infatti, limiterebbe di molto l’esercizio del diritto all’autodifesa, con conseguente violazione dell’articolo 24 della Costituzione.

Passando ad esaminare le modalità con cui il giudice accerta l’incapacità dell’imputato di stare in giudizio. L’articolo 71 del c.p.p. dispone: “Se il giudice accerta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento, deve disporre la sospensione di quest’ultimo”.

La sospensione non è necessaria se il giudice deve semplicemente pronunciare sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. Nel periodo di sospensione, il giudice può assumere le prove necessarie al proscioglimento dell’imputato (esse, tuttavia, una volta acquisite potranno essere valutate anche contro l’imputato); inoltre se l’imputato deve essere sottoposto a custodia cautelare, nel periodo di sospensione egli verrà ricoverato in ospedale psichiatrico.