Art.628 comma 1: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni, e con la multa da 927 a 2500 euro.

(2) Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità”.

La rapina è una forma di reato complesso (art.84): due reati, insomma, si sono riunite in un’unica fattispecie (si esclude ovviamente il concorso di reati, ma si applica direttamente la norma speciale). In effetti, nella rapina abbiamo il reato di violenza privata (art.610) o di minaccia (art.612) che si uniscono al reato di furto (art.624) confluendo in un’inca fattispecie.

Sia nel furto che nella rapina, condotta ed oggetto materiale sono costituite dall’impossessamento e dalla sottrazione della cosa mobile altrui. Vi è però l’elemento distintivo, proprio della rapina, della “violenza alla persona o minaccia”.

  • La violenza consiste in una forma di coazione fisica tale da annullare o compromettere la possibilità di autodeterminazione ed azione del soggetto passivo in relazione alla libera gestione del patrimonio. Non è necessario che tale pratica dell’agire sia costituita da una fisicità violenta in sé, potendo esplicarsi anche in forme come l’uso di sostanze stupefacenti o alcoliche. Inoltre vi è da dire che la violenza può essere esercitata anche nei confronti di persona diversa dal detentore della cosa, purché tra detta violenza e l’impossessamento sussista un nesso causale.
  • La minaccia, a differenza della violenza, è un mezzo di coazione psichica che consiste nella prospettazione di un male futuro ed ingiusto, la cui realizzazione dipende dalla volontà dell’agente. Anche la minaccia, inoltre, può essere diretta verso persone diverse dal titolare dell’interesse patrimoniale offeso, purché sia effettivamente coercitiva della libertà di determinazione e strumentale all’impossessamento della cosa mobile.

La minaccia, infine, non deve necessariamente essere palese, esplicita e determinata, ma può essere anche implicita, larvata, indiretta ed indeterminata, essendo solo sia necessaria ad incutere timore ed a coartarne la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze, alla personalità dell’agente ed alle condizioni soggettive della vittima.

Possiamo inoltre distinguere:

  • Rapina propria (comma 1). Si esercita violenza e minaccia al fine di impossessarsi della cosa altrui. In sostanza la violenza e la minaccia avvengono prima dell’impossessamento.
  • Rapina impropria (comma 2). Si esercita violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurarsi il possesso della cosa sottratta. In sostanza qui, rispetto alla rapina propria, vi è una inversione cronologica: prima la sottrazione e poi la violenza o minaccia.

 

Significato del termine “immediatamente”

Si discute sulla interpretazione del termine. La giurisprudenza ha affermato che il requisito della immediatezza della violenza o della minaccia dopo la sottrazione va ricavata dai concetti di flagranza e quasi-flagranza, e non da criteri meramente temporali.

La quasi-flagranza, infatti, si intende configurata anche quando sia passato un certo lasso di tempo, pur non breve, purché tale periodo sia colmato da attività continua di indagine della polizia giudiziaria volta alla cattura del responsabile.

Di conseguenza, come scrive la Cassazione: “Nella rapina impropria, la violenza e la minaccia possono realizzarsi anche in un luogo diverso, sicché, per la configurazione del reato, non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione ed uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere l’unitarietà dell’azione volta ad impedire al derubato di tornare in possesso delle cose”.

 

La rapina come reato a dolo specifico

  1. Nella rapina propria, il dolo specifico consiste nel fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. Qui il profitto, rispetto al reato di furto, può essere indicativo di dolo specifico grazie alla specificazione del carattere dell’ingiustizia: il profitto deve essere ingiusto, e così l’ingiustizia svolge la funzione selettiva che si richiede al dolo specifico. Deve ritenersi ingiusto il profitto che non sia in alcun modo, e cioè né direttamente né indirettamente, tutelato dall’ordinamento giuridico. Così il requisito dell’ingiustizia fa sì che profitto significhi vantaggio che non si sarebbe dovuto perseguire.
  2. Nella rapina impropria, il dolo specifico consiste nello scopo di assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o di procurare a sé o ad altri l’impunità.

 

Consumazione e tentativo

  1. Nella rapina propria, la consumazione si realizza con l’avvenuto impossessamento della cosa mobile. Sicché la rapina rimane nell’ambito del tentativo fino a quando il soggetto agente non sia riuscito ad esercitare autonomamente il possesso senza titolo sulla cosa. In sostanza, il tentativo ricorre quando, poste in essere la violenza o la minaccia l’agente non riesca ad impossessarsi del bene oppure quando non porti a termine la condotta violenta o minacciosa.
  2. Nella rapina impropria la consumazione del delitto si realizza con l’uso della violenza o della minaccia successivamente all’avvenuta sottrazione del bene. Si tratta del caso in cui, dopo la sottrazione, non si completi la condotta violenta o minacciosa tendente ad ottenere o a conservare il possesso della cosa sottratta.

La giurisprudenza, in contrasto con la dottrina, ammette la configurazione del tentativo di rapina impropria anche nel caso in cui il soggetto, dopo aver posto in essere atti diretti in modo univoco a realizzare la sottrazione, non riesca tuttavia a sottrarre il bene, e dunque adoperi violenza o minaccia al fine di procurarsi l’immunità. Questo indirizzo è stato confermato dalle Sezioni Unite.