Oggi stiamo assistendo ad un progressivo moltiplicarsi di leggi e regolamenti, anche a livello sovranazionale. In una simile situazione di disordine normativo i principi giuridici assumono un ruolo particolarmente importante, perché possono ricondurre ad una maggiore omogeneità delle normative.
I principi possono essere posti dalla Costituzione, dalla legislazione ordinaria o dalla normativa sovranazionale. Resta comunque fondamentale il ruolo della giurisprudenza: da un lato vi sono i cosiddetti “principe sans texte”, cioè privi di esplicita previsione normativa e delineati proprio dai giudici; dall’altro vi sono quelle definizioni e precisazioni che i giudici danno delle enunciazioni di principi che si ritrovano nelle leggi.
E’ possibile innanzitutto distinguere tra:
- principi tipici e propri dell’amministrazione pubblica
- principi generali del diritto applicabili anche alle pubbliche amministrazioni
Sono principi tipici e propri della pubblica amministrazione:
- principio di legalità
- principio di imparzialità
- principio di buon andamento
- principio di ragionevolezza
- principio di proporzionalità
- principio di precauzione
- principio di partecipazione
- obbligo di motivazione del provvedimento
- diritto di accesso ai documenti amministrativi
Questi principi tendenzialmente si applicano solo a quella parte dell’attività amministrativa che ha natura autoritativa e pubblicistica. Trovano fondamento nell’essere dei contrappesi a favore dell’amministrato, nei confronti del potere pubblico.
Sono principi generali del diritto applicabili anche alle pubbliche amministrazioni:
- buona fede
- correttezza
- legittimo affidamento
- libera concorrenza
- trasparenza
Tali principi servono invece sia da contrappeso al potere pubblico, sia da criteri equilibratori dell’attività privatistica della pubblica amministrazione.
Il principio di legalità
Secondo la definizione più ampia del principio di legalità, l’attività amministrativa deve trovare fondamento nella legge. In sostanza il potere amministrativo deve trovare una base esplicita nelle norme di legge.
Il principio di legalità si pone quindi come argine di protezione del cittadino nei confronti dell’autorità amministrativa, come un contrappeso.
In particolare, l’art.23 della Costituzione dispone che “nessuna personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.
Inoltre l’art.1 della legge 241/1990 ha stabilito che “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge”.
Gli atti di natura unilaterale ed autoritativa, come i provvedimenti amministrativi, devono avere i requisiti della tipicità e della nominatività.
Per quanto concerne invece l’adozione di atti di natura non autoritativa, la pubblica amministrazione agisce secondo le norme di diritto privato (art.1 bis legge 241).
Il principio di legalità nel tempo si è evoluto. Oggi si ritiene infatti che la pubblica amministrazione non deve rispettare solo le leggi, ma anche i principi di diritto, nonché le norme comunitarie (quest’ultime, in caso di antinomie, prevalgono su quelle interne).
I principi di imparzialità e buon andamento
I principi di imparzialità e buon andamento trovano riferimento normativo espresso nell’art.97 della Costituzione, che afferma: “I pubblici uffici sono organizzati in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.
Il principio di imparzialità è fondamentalmente un divieto di discriminazioni, e la giurisprudenza ne ha fatto discendere alcuni specifici obblighi:
- obbligo di determinare criteri e modalità prima di procedere
- obbligo di compiere un’adeguata valutazione di tutti gli interessi prima di decidere
- obbligo di astensione del funzionario in caso di conflitto d’interessi (la mancata astensione del funzionario comporta l’invalidità anche dell’atto collegiale, senza che si possa far valere la prova di resistenza, cioè i voti dei membri estranei al conflitto).
Il principio di buon andamento, come abbiamo detto, è collocato accanto all’imparzialità. Si tratta di un concetto molto ampio, al quale la giurisprudenza ha ricondotto altri principi quali economicità, efficienza, efficacia, e tempestività dell’azione amministrativa.
Il principio di ragionevolezza
Il principio di ragionevolezza è un “principe sans texte” formato dall’opera della giurisprudenza indipendentemente da formulazioni legislative. Particolare rilievo ha assunto negli Stati Uniti dove si parla di “reasoned administration”.
Il punto di riferimento più immediato per delineare tale principio è stato l’obbligo di motivazione della decisione, la quale deve avere appunto una motivazione ragionevole.
Inizialmente il concetto di ragionevolezza era molto labile. Nel Regno Unito si parlava di Wesnebury resonablness (dal nome di un caso giudiziario), secondo cui la decisione amministrativa viola il principio di ragionevolezza quando si tratta di una scelta talmente assurda che nessuna persona ragionevole avrebbe mai pensato di adottare.
Successivamente il giudice è passato a censurare atti delle pubbliche amministrazioni contraddittori, illogici, irrazionali ed incoerenti.
Il principio di proporzionalità
Anche il principio di proporzionalità è di elaborazione giurisprudenziale, partendo da decisione tedesche di fine Ottocento che hanno poi trovato accoglimento nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, trasmigrando poi nei vari Stati membri.
Affinché la decisione amministrativa sia proporzionata devono sussistere tre requisiti:
- l’idoneità al perseguimento del fine che si intende realizzare
- la necessarietà, cioè la misura non deve eccedere quel che è sufficiente a raggiungere il fine
- l’adeguatezza, cioè l’equilibrato bilanciamento tra le utilità del fine ed i costi della decisione
Chiaramente la valutazione del giudice sulla proporzionalità rischia di comportare un giudizio di merito, e pertanto i giudici si sono orientati verso un controllo che somiglia più alla ragionevolezza, ad esempio annullando provvedimenti perché manifestamente sproporzionati, e quindi irragionevoli.
Ad ogni modo, quando il giudice, con maggior coraggio, si spinge verso un vero e proprio controllo sulla proporzionalità, può trovare giustificazione del suo operato sottolineando che si tratta pur sempre di un principio di diritto, la cui violazione ha a che fare con la legittimità, non con il merito.
Il principio di precauzione
Il principio di precauzione si è sviluppato a partire dagli anni Settanta, nell’ambito dei dibattiti sulla salvaguardia dell’ambiente.
Tale principio, sostanzialmente, consente ai poteri pubblici di adottare misure dirette a prevenire danni gravi ed irreversibili a beni assai rilevanti come ambiente e salute, ove emergano rischi di tali danni, pur in assenza di una certezza.
Il principio 15 della Dichiarazione di Rio prevede che “al fine di proteggere l’ambiente, gli Stati applicheranno largamente il metodo precauzionale.
La precauzione viene citata anche nel diritto della World Trade Organization in merito alle misure finalizzate a tutelare la sicurezza alimentare.
Importantissimo è poi l’art.191 del TFUE che così dispone: “La politica dell’Unione in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela. Essa è fondata sui principi della precauzione, dell’azione preventiva, sul principio della correzione, nonché sul principio ‘chi inquina paga’”.
E’ indispensabile una preventiva analisi dei rischi attuali e potenziali. E’ inoltre necessario accertare che le misure precauzionali adottate siano proporzionate e non eccessivamente restrittive. Vi è dunque un delicato nesso tra precauzione e proporzionalità.
Le misure devono quindi essere idonee alla prevenzione; non devono esistere altre misure idonee meno restrittive; i benefici devono essere superiori ai costi.
Sul nesso tra precauzione e proporzionalità è di particolare rilievo il caso “Xylella”, riguardante il batterio che ha colpito gli ulivi in Puglia. La Corte di Giustizia ha dichiarato la legittimità della misura adottata dalla Commissione (che prevedeva l’obbligo di sradicare tutte le piante entro un certo perimetro) perché ritenuta idonea, appropriata e necessaria per evitare il rischio di propagazione del batterio, essendo dunque l’unica decisione possibile.
Il principio di precauzione è penetrato anche nel nostro diritto amministrativo grazie all’art.1 della legge 241/1900, secondo cui l’attività amministrativa si regge anche sui principi del diritto comunitario (tra cui vi è appunto la precauzione).
Degno di nota è poi l’art.301 del codice dell’ambiente che prevede che, ove emergano rischi per l’ambiente, il Ministro dell’ambiente ha facoltà di adottare misure precauzionali che siano proporzionali rispetto al livello di protezione che si intende raggiungere.
Il principio di partecipazione
Il principio di partecipazione nasce nell’ordinamento inglese, dove si afferma il cosiddetto “right to be heard”, cioè il diritto di essere ascoltati prima che il potere pubblico decida: vi può essere un’audizione oppure la presentazione di osservazioni scritte.
Tale principio è poi progressivamente trasmigrato nei sistemi di civil law, inizialmente nella giurisprudenza e poi nella legislazione.
In Italia il principio di partecipazione viene normativamente introdotto con la legge 241/190, ma soffre di un limite grave: esso vale infatti solo per i procedimenti particolari, che si rivolgono ad uno o più destinatari determinati, e non per quelli generali (art.13).
In altre esperienze giuridiche, come quella degli Stati Uniti, tale limite non sussiste. L’Administrative Procedure Act applica le garanzie di partecipazione sia ai procedimenti particolari (adjudication) sia a quelli generali (rule-making).
Un altro rilevante limite è quello di cui all’art.21 octies della legge 241, secondo cui il provvedimento non è annullabile per mancata comunicazione di avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
Il problema è che la comunicazione di avvio è il punto iniziale per dar corpo alle garanzie di partecipazione.
Vi è differenza fra partecipazione e contradditorio. La partecipazione riguarda essenzialmente la facoltà degli amministrati di manifestare i propri interessi. Il contradditorio individua quelle vicende in cui i destinatari dell’azione amministrativa possono interloquire su tutti gli elementi rilevanti ai fini della decisione.
L’obbligo di motivazione del provvedimento
L’obbligo di motivazione, previsto dall’art.111 della Costituzione per i provvedimenti giurisdizionali, è stato progressivamente esteso ai provvedimenti amministrativi.
L’art.3 della legge 241 annovera l’obbligo di motivazione tra i principi che governano il procedimento amministrativo.
La legge non prevede l’obbligo di motivazione per i provvedimenti con contenuti ed effetti generali: si tratta di un limite rilevante.
La motivazione deve ricomprendere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione.
La mancanza di motivazione, o la motivazione insufficiente o irragionevole, producono un vizio ascrivibile alla violazione di legge, e si può tradurre nell’inviolabilità del provvedimento.
Diritto di accesso ai documenti amministrativi
Affinché l’amministrato possa esprimersi in merito ad una decisione dell’amministrazione, è necessario che egli possa prendere visione dei documenti del procedimento che conduce a tale decisione.
Il diritto di accesso ai documenti è stato compiutamente introdotto con la legge 241, contestualmente alle garanzie di partecipazione.
L’art.22 comma 2 della legge 241 configura il diritto di accesso ai documenti amministrativi come un principio generale dell’attività amministrativa.
Tale diritto può esercitarsi anche nei confronti dei soggetti di diritto privato che svolgono attività di pubblico interesse, e può esser fatto valere sia nell’ambito di decisioni attinenti all’attività autoritativa sia per provvedimenti riguardanti attività non autoritative.
Colui che chiede l’accesso deve essere titolare di un interesse concreto ed attuale, consistente in una situazione giuridicamente tutelata e collegato al documento di cui si chiede l’accesso.
Il legislatore ha poi introdotto altri due tipi di accesso, detti accessi civici:
- illgs. 33/2013 ha riconosciuto a chiunque il diritto di accesso ai documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di pubblicare
- la legge 124/2013 ha riconosciuto a tutti i cittadini l’accesso a documenti ulteriori rispetto a quelli per cui vige l’obbligo di motivazione
La questione del diritto di accesso è collegata al principio generale della trasparenza.
I principi di buona fede e correttezza. Il legittimo affidamento.
La buona fede è un concetto della tradizione privatistica che trova riscontro normativo negli articoli 1337 e 1375 del codice civile.
In diritto amministrativo ha un ambito di applicazione generale, applicandosi infatti sia all’attività privatistica, sia a quella pubblicistica.
Il Consiglio di Stato ha precisato che la buona fede riguarda l’attività amministrativa nel suo complesso, divenendo in sostanza un canone generale dell’amministrazione.
Anche il principio di correttezza è tipicamente civilistico, trovando infatti riscontro normativo nell’art.1175 del codice civile.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel 2018 ha riconosciuto la correttezza come canzone generale dell’attività amministrativa, non soltanto privatistica. Ad ogni modo si è precisato che la violazione del dovere di correttezza, non essendo sancito da una norma di diritto pubblico, non comporta l’invalidità dell’atto, ma una mera responsabilità per comportamento scorretto.
Il principio del legittimo affidamento affonda le proprie radici nella tradizione privatistica, che infatti ha riconosciuto tutela al soggetto che ha confidato nel comportamento della controparte, imputando invece all’autore della dichiarazione il rischio dell’affidamento ingenerato nell’altro contraente.
La tutela del legittimo affidamento è penetrata anche nel diritto amministrativo, specialmente per quanto concerne i cosiddetti provvedimenti amministrativi di secondo grado, cioè quei provvedimenti con cui l’amministrazione incide su atti precedentemente emanati: l’affidamento emerge come limite alla revoca o all’annullamento d’ufficio di tali misure.
La revoca di un provvedimento, in base alla legge 241, è ammessa solo per sopravvenute ragioni di interesse pubblico o per mutamento della situazione di fatto. In ogni caso, se la revoca comporta pregiudizi a danno degli interessati, la pubblica amministrazione deve corrispondere un indennizzo.
E così, l’annullamento d’ufficio di un provvedimento illegittimo non può essere adottato soltanto a causa dell’illegittimità, ma devono sussistere ragioni di interesse pubblico. Tale annullamento, inoltre, deve intervenire entro un termine ragionevole, comunque non oltre 18 mesi.
Il principio di libera concorrenza
Secondo il principio di libera concorrenza occorre assicurare eguali possibilità alle imprese che intendono entrare ed agire in un mercato.
Nasce nel diritto commerciale ma progressivamente è divenuto principio generale applicabile anche al diritto pubblico ed al diritto amministrativo.
E’ un principio applicabile non solo alle imprese gestite da mano pubblica ma anche alle stesse pubbliche amministrazioni, persino al di fuori dell’attività imprenditoriale: per esempio si ritiene che provvedimenti di pianificazione e di attuazione in favore di privati debba appunto rispettare la concorrenza; inoltre si dispone che l’affidamento di contratti aventi ad oggetto l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori ed opere deve rispettare il principio di libera concorrenza.
La norma più rilevante è l’art.119 TFUE che obbliga le istituzioni dell’Unione Europea e gli Stati membri a conformarsi al principio di un’economia di mercato aperta ed in libera concorrenza. E’ chiaro quindi che ormai la libera concorrenza è divenuta canone generale delle attività delle pubbliche amministrazioni, di natura sia privatistica che pubblicistica.