La raccolta dei contributi e l’opera di proselitismo sono i diritti riconosciuti dall’art.26 St. Lav. ai lavoratori ed alle loro organizzazioni sindacali all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale. Questa disposizione differisce dalle altre perché tali diritti sono riconosciuti non soltanto alle r.s.a. ed alle r.s.u., ma a tutte le organizzazioni sindacali senza compromettere il normale svolgimento dell’attività aziendale.
I commi 2 e 3 dell’art. 26 sono stati abrogati da un referendum del 1995. Si è così eliminato l’obbligo di fonte legale del datore di lavoro di effettuare la trattenuta nella busta paga corrispondente al contributo sindacale dovuto dal lavoratore al sindacato cui è iscritto.
Tale obbligo è diventato di natura negoziale per quei datori di lavoro che abbiano sottoscritto i contratti collettivi che continuano a prevedere questa modalità .
Le Sezioni Unite sono intervenute in merito alla qualificazione giuridica della cessione della retribuzione per il pagamento dei contributi sindacali. Il quesito era il seguente: si tratta di una cessione del credito del lavoratore oppure una delegazione di pagamento?
Sia chiaro che non si tratta di una semplice disquisizione teorica, poiché dalla qualificazione giuridica di tale cessione discendono importanti conseguenze. Infatti, la cessione al sindacato del credito retributivo vantato dal lavoratore nei confronti dell’azienda è efficace dal momento in cui la cessione medesima sia stata notificata (art.1264 c.c.), e perciò non richiede il consenso del debitore ceduto, cioè del datore di lavoro (art.1260 comma 1 c.c.). In questa ottica, il datore non ha la possibilità di opporsi alla volontà del lavoratore, ed il suo rifiuto configurerebbe una condotta antisindacale.
Questa tesi è autorevolmente affermata dalla Sezioni Unite e confermata dalla giurisprudenza di legittimità . Ad ogni modo tale tesi, secondo il manuale, non sembra del tutto persuasiva, perché finisce per imporre la reviviscenza di un obbligo che il referendum del 1995 ha eliminato mediante l’abrogazione dei commi 2 e 3 dell’art.26 dello Statuto.
Sembra allora più appropriato qualificare l’operazione in questione come delegazione di pagamento. Infatti, in assenza di clausole apposite del contratto collettivo, il terzo delegato, ossia il datore di lavoro, non è tenuto ad accettare l’incarico.