Il 13 Agosto 2007, a seguito della segnalazione di Alberto Stati, dure carabinieri in servizio presso la stazione di Garlasco entrano nell’abitazione della famiglia Poggi e trovano delle chiazze di sangue in prossimità della scala che conduce alla cantina: in fondo ai gradini si trova il corpo senza vita di Chiara Poggi.
Fin dai primi momenti viene scartata l’ipotesi che si tratti di una rapina finita male: in casa non manca nulla e non ci sono segni di effrazione. Nel mirino degli inquirenti finisce subito il fidanzato di Chiara, Alberto Stasi anche se questi sostiene di essere rimasto a casa quella mattina per scrivere la tesi di laurea. L’orario del decesso di Chiara è collocato tra le 10:30 e le 12:00 e la perizia condotta sul computer di Stati sostiene che tra le 9:35 e le 12:20 Alberto è rimasto davanti al computer a lavorare alla tesi: il 17 Dicembre 2009, Stasi viene assolto.
L’8 Novembre 2011 il caso torna in aula per il processo di appello: l’accusa sostiene che l’omicidio possa essere stato compiuto tra le 9:12 e le 9:35, ovvero nel lasso di tempo in cui Alberto non era al computer ma il 6 Dicembre 2011 Stati è assolto anche dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano.
La Corte di Cassazione ribalta tutto: la sentenza di secondo grado viene annullata e il processo rimandato alla Corte d’Assise d’Appello di Milano. È proprio questa corte che ha dichiarato Alberto Stasi colpevole dell’omicidio di Chiara e viene condannato alla pena di 16 anni di reclusione.
Il pubblico ministero e l’imputato ricorrono nuovamente in Cassazione ma per due motivi diversi:
- Il pubblico ministero perché vuole sia riconosciuta l’aggravante della crudeltà.
- L’imputato per la riconferma dell’assoluzione avuta nei primi due gradi di giudizio.
Il 12 Dicembre 2015 la Corte di Cassazione ha condannato in via definitiva Alberto Stasi.
Uno degli elementi decisi del processo è l’alibi di Alberto, la cui ricostruzione è affidata all’analisi del suo computer. Secondo il medico legale la morte di Chiara è avvenuta tra le 10:30 e le 12:00. Alberto Stasi consegna spontaneamente il suo computer, ma solo nel verbale di sommarie informazioni riferisce di averlo utilizzato per scrivere la tesi di laurea dalle 10:45 alle 12:20, modificando l’orario in sede di spontanee dichiarazioni, anticipando di un’ora l’inizio della scrittura.
Dal momenti in cui Stati ha consegnato il suo computer alla polizia giudiziaria vengono effettuati ripetuti e scorretti accessi a tutto il contenuto del computer: l’analisi dei consulenti del pubblico ministero individua infatti molteplici violazioni di regole elementari della digital forensics.
Rilevate queste scorrettezze, i consulenti affermano che dalle 10:17 in poi non vi sono tracce informatiche che possano dimostrare una presenza umana attiva. Il consulente tecnico di parte afferma invece che il file della tesi è stato aperto proprio alle 10:17 e che Stati ha lavorato al documento per tutta la mattinata, ma a causa delle attività non idonee compiute dai carabinieri sul personal computer questa tesi non è pienamente documentabile.
È certo che gli operatori di polizia giudiziaria avrebbero dovuto operare in presenza di esperti capaci di suggerire loro le tecniche giuste per la salvaguardia della prova digitale. Il mancato rispetto dei protocolli già noti, anche se non ancora codificati, dimostra come sua stato possibile compiere errori di metodo in buona fede.
Durate il primo grado si ritenne necessario nominare un collegio peritale: esso appurò che gli accessi e gli altri interventi dei carabinieri sul computer di Stasi erano stati devastanti. Un intervento così invasivo da parte si soggetti non esperti aveva reso impossibile determinare non solo l’alibi di Stati in maniera incontrovertibile, ma anche stabilire con certezza il movente addotto dalla pubblica accusa: infatti era diventato impossibile verificare se la sera prima dell’omicidio fossero state aperte, e quindi visionate da Chiara, le immagini pedopornografiche che secondo l’accusa erano alla base del litigio tra i due fidanzati che si è concluso con la morte di Chiara.
I periti sostennero che Stati aveva utilizzato il suo computer anche la sera del 12 Agosto per scrivere la tesi: mediante l’analisi dei metadati contenuti nel pc, il collegio ha sostenuto poi la presenza di una attività umana ininterrotta sul computer di Stasi fra le 10:17 e le 12:20 del 13 Agosto.
Il giudice aveva posto al collegio peritale anche un secondo quesito, ovvero se l’imputato potesse non trovarsi invasa mentre stava lavorando alla tesi: la limitata autonomia del portatile ha portati ad escludere tale ipotesi. Le ridotte capacità informatiche di stati hanno inoltre convinto il giudice che non vi fosse stata una astuta falsificazione degli orari. Quindi è stato confermato l’alibi dell’imitato per un periodo più lungo di quello inizialmente stabilito: dalle 9:35, ora di accensione del pc, alle 12:20, ora di messa in stand-by dello stesso
Dopo questa perizia rimanevano senza alibi due periodi di tempo cioè prima delle 9:35 e tra le 12:46 e le 13:26: intervalli troppo brevi perché Stasi potesse compiere l’omicidio e percorrere il tragitto tra le due abitazioni.
Il caso di Garlasco dimostra come la digital evidence possa essere di grande aiuto nella ricostruzione della verità processuale ma anche come sia importante il rispetto di precisi standard: qualunque sia la verità, l’alibi dell’imputato poteva essere dimostrato o smentito dai dati contenuti su un supporto informatico che, anche se non intenzionalmente sono stati irrimediabilmente corrotti.