In linea con un approccio basato sulla trasparenza, sulla partecipazione e sulla collaborazione tra mondo pubblico e privato, si pone uno strumento cardine dei modelli di open government: gli “open data”. Il paradigma è quello di restituire i dati alla collettività e lasciare che l’intelligenza collettiva ne faccia uso, potendoli trasformare in leve di nuove e inedite potenzialità economiche e sociali.
Gli open data possono essere prodotti da soggetti privati o pubblici.
Secondo la Open Knowledge Foundation un contenuto o un dato si definisce “aperto” se chiunque è in grado di utilizzarlo, riutilizzarlo e ridistribuirlo, con la limitazione, al massimo, della richiesta di attribuzione e condivisione allo stesso modo.
L’ordinamento giuridico italiano fornisce una definizione normativa degli open data nell’articolo 68 comma 3 lett. b) del decreto legislativo 82/2005: la disposizione individua gli open data nella dimensione giuridica, tecnologica ed economica che li caratterizzano. I dati di tipo aperto, sono i dati che presentano le seguenti caratteristiche:
- Dimensione giuridica: “sono disponibili secondo i termini di una licenza che ne permetta l’utilizzo da parte di chiunque, anche per finalità commerciali, in formato disaggregato”. I dati hanno un titolare e l’uso legittimo del dato avviene per mezzo di apposita licenza: le licenze aperte maggiormente utilizzate sono le “creative commons” e la licenza italiana IODL 2.0.
- Dimensione tecnologica: “sono accessibili attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, in formati aperti, sono adatti all’utilizzo automatico da parte di programmi per elaboratori e sono provvisti dei relativi metadati”
- Dimensione economica: “sono resi disponibili gratuitamente attraverso le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ivi comprese le reti telematiche pubbliche e private, oppure sono resi disponibili ai costi marginali sostenuti per la loro riproduzione e divulgazione, salvo i casi previsti dall’articolo 7 del decreto legislativo 24 Gennaio 2006, 36, e secondo le tariffe determinate con le modalità di cui al medesimo articolo”.
Gli open data sono strumento di trasparenza e controllo democratico e, da tale punto di vista, contribuiscono a garantire maggiore efficienza pubblica e costituiscono efficace mezzo di previsione e lotta alla corruzione: questo permette di generare una maggiore fiducia nella istituzioni da parte dei cittadini, garantendo partecipazione e coinvolgimento.
I dati aperti contribuiscono poi al miglioramento della qualità della vita delle persone che possono utilizzarli, condividerli e incrociarli: allo stesso tempo concorrono al miglioramento delle politiche pubbliche, permettendo valutazioni di impatto, analisi e misurazioni. Gli open data permettono di dare sostegno allo sviluppo economico, dato il grande valore dei dati detenuti dalle istituzioni e la possibilità di essere riutilizzati per nuovi prodotti e servizi.
In considerazione delle finalità che permettono di realizzare, i dati da “aprire” sono un elenco necessariamente non definibile, perché non ne sono predeterminatili gli usi e, di conseguenza, tutti i dati possono risultare preziosi e interessanti.
Il decreto legislativo 82/2005 è attento al principio di disponibilità dei dati pubblici e nell’articolo 50 prevede espressamente che i dati delle pubbliche amministrazioni siano formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l’uso delle tecnologie informatiche da parte delle altre pubbliche amministrazioni e dai privati: vengono fatti salvi i limiti alla conoscibilità dei dati previsti dalle leggi e dai regolamenti, le norme in materia di protezione dei dati personali e il rispetto della normativa comunitaria in materia di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico.
Negli ultimi anni la normativa italiana ha promosso gli open data sotto lo stimolo del panorama internazionale e dell’Unione Europea.
Già il decreto legislativo 36/2006 interpretava i dati pubblici come importante “materia prima” per prodotti e servizi digitali, da riutilizzare per contribuire alla crescita economica e sociale, ma non imponeva l’obbligo di consentirne il riutilizzo.
Di recente il decreto legislativo 102/2015 ha rafforzato gli obblighi delle istituzioni in materia di dati aperti, prevedendo che le amministrazioni provvedano affinché i documenti siano riutilizzabili a fini commerciali o non commerciali secondo le modalità previste. Il decreto legislativo 82/2005 prevede l’esaminata definizione degli “open data” e disposizioni generali con la finalità di razionalizzare il processo di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico nazionale. In specifico, le pubbliche amministrazioni sono tenute a pubblicare il catalogo dei dati e dei metadati definitivi, nonché delle relative banche dati in loro possesso e i regolamenti che disciplinano l’esercizio della facoltà di accesso telematico e il riutilizzo di tali dati e metadati.
Il favor verso gli open data è evidente nel significativo principio “open data by default”: i dati e i documenti pubblicati dalle amministrazioni con qualsiasi modalità, senza l’espressa adozione di una licenza standard per il riutilizzo, si intendono rilasciati come dati di tipo aperto, ad eccezione dei casi in cui la pubblicazione riguardi i dati personali.
L’eventuale adozione di una licenza deve essere motivata ai sensi delle linee guida nazionali definite dall’AgID.
L’articolo 52 del CAD si preoccupa di assicurare l’effettività a quanto previsto e collega espressamente le attività volte a garantire l’accesso telematico e il riutilizzo dei dati delle
pubbliche amministrazioni ai parametri di valutazione della performance dirigenziale.
In questo percorso normativo si è inserito il decreto legislativo 33/2013, da ultimo modificato dal decreto legislativo 97/2016. Ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 33/2013 tutti i documenti, le informazioni e i dati oggetto di accesso civico, compresi quelli oggetto di pubblicazione obbligatoria, sono pubblici e chiunque ha diritto a conoscerli, di fruirne gratuitamente, utilizzarli e riutilizzarli senza ulteriori restrizioni diverse dall’obbligo di citare la fonte e di rispettarne l’integrità.
Al favor delle norme l’Italia ha accompagnato specifici impegni a livello internazionale: oltre all’adesione all’Open Government Partnership (OGP), nel 2013 ha aderito all’iniziativa del G8 Open Data Charter e nel 2015 all’International Open Data Charter.
Nel 2011 il Governo italiano ha lanciato il portale nazionale di open data che ospita il catalogo dei dati aperti pubblicati dalle amministrazioni italiane.
Molto attive, sotto tale profilo, le Regioni: la regione Piemonte è stata la prima rilasciare le sue informazioni pubbliche in open data, a creare un portale dedicare e ad emanare una legge regionale anticipando anche lo Stato.
Molte regioni hanno seguito l’esempio piemontese, come il Lazio, la Provincia autonoma di Trento, il Friuli Venezia Giulia e la Toscana: anche Comuni ed enti locali hanno realizzato strategie in materia di open data.
Anche gli utenti italiani hanno realizzati progetti di grande utilità quali “Monithon” cioè una piattaforma di monitoraggio civico dei progetti finanziati dalle politiche di coesione che si basa sui dati del portale “Open Coesione” e la piattaforma “ConfiscatiBene”, progetto partecipativo per la raccolta, l’analisi dei dati e il monitoraggio dei beni confiscati alla criminalità organizzata.
L’apertura del patrimonio informativo pubblico deve fare i conti con esclusioni e limiti previsti a tutela di altri interessi protetti dall’ordinamento, quali il segreto di stato, il segreto statistico, il diritto d’autore e la sicurezza pubblica.
Il profilo è oggetto di norme specifiche nel decreto legislativo 33/2013 e la difficoltà emerge nelle linee guida del Garante Privacy del 2014, secondo cui i dati pubblicati online non sono liberamente utilizzabili da chiunque per qualunque finalità: i dati personali sono riutilizzabili solo in termini compatibili con gli scopi per i quali sono raccolti e nel rispetto delle norme sulla privacy. Secondo il Garante, di conseguenza, l’obbligo di pubblicare i dati in “formato aperto” non comporta che tali dati siano anche “dati aperti” cioè liberamente utilizzabili.
Accanto a questi limiti è opportuno rilevare la criticità costituito dalla mancanza di uniformità e omogeneità nell’apertura del patrimonio informativo pubblico: non tutti i dati potenzialmente utili sono rilasciati in modo aperto o non lo sono in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, traducendosi in un potenziale danno per chi vi faccia affidamento e riutilizzi i dati anche per finalità commerciali.