Per Freud la ragione politica non può fermare gli orrori della guerra. Egli parla anche di stupore nel senso del non esser riusciti a neutralizzare l’aggressività dell’inimicizia.

Einstein domandava a Freud negli anni 30 se si poteva evitare la fatalità della guerra e faceva ciò da intellettuale e da cittadino che riteneva la pace obbligatoria. Einstein la definisce fatalità, in quanto sembra accadere indipendentemente dal volere degli uomini, ed è una fatalità sempre più insopportabile per il progredire della tecnica. La guerra non ha ragione, eppure torna sempre.

La guerra è evento che scandisce memoria segnando biografie di intere generazioni e mette in crisi quindi ogni modo di sottrarsi alla storia, scandendo quindi la fine del sogno di un’esistenza pacifica. Sono tradite illusioni di pace che derivano dal fatto che la ragione non può porvi rimedio. L’illusione è però per Freud virtu’ negativa. Freud parla di disagio della civiltà e quindi di un conflitto eterno di forze pulsionali antagoniste che generano lutto: alla fine della guerra si ricostruirà si spera su un fondamento più forte di prima. Freud però del 1915 non conosceva l’assurda esperienza dell’inimicizia coagulata nell’odio razziale.

La guerra è in primo luogo un fenomeno dell’esistenza che nella sua tragicità coinvolge anche le coscienze. Questo spiega proprio perché a parlare di guerra siano un fisico, cioè Einstein e uno psicanalista, cioè Freud. Si erano conosciuti nel 1927 e avevano intersecato questo filo definito da Einstein come pacifismo nel senso di far guerra alla guerra: il pacifismo militante. Einstein ha portato avanti costantemente ciò dal 1922 al 1946, facendo tra le altre cose un accordo con Gandhi per opporsi al servizio militare, appello con Russel per opporsi alle armi nucleari. Einstein voleva dialogare con Freud riconoscendo in quest’ultimo un conoscitore della vita istintiva umana e analista della vita istintiva tale da poter indicare una via d’uscita. Freud vede invece Einstein occuparsi della pace in quanto amico dell’umanità (Menschenfreund in tedesco): egli costituisce una parte dell’umanità che prende posizione per il bene di tutti. Anche Kant ne parlava di tale entità sostenendo che il Mensch. indirizza la sua amicizia a un’ idea in cui conta il rispetto di ogni altro. Questo discorso è capibile meglio ricordando che l’umanità ha al suo interno amicizia e inimicizia. Mensch. sarà per Freud chi lavora per la sopravvivenza del tutto, mentre il nemico dell’umanità sta solo da una parte e nega la possibilità dell’esistenza del tutto: ossia il guerrafondaio ma anche chi vuole ricevere ogni vantaggio dal bene pubblico scaricando sugli altri i costi: questo è espresso in economica politica con il concetto del free-rider. Ma l’umanità nasce unita ed è poi divisa dalle differenze: per il giurista Koselleck bisogna investire nella pace definendolo concetto superiore a quello di amico-nemico e quindi queste due parti la devono volere. Bisognerà quindi prender sul serio la rivalità delle differenze

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