Fondamentalmente, tutte le funzioni spettanti alle Camere nel nostro ordinamento sono raggruppabili in due tipi; quelle legislative e quelle ispettive o di controllo politico. Fra di esse, le funzioni legislative hanno di gran lunga il maggior rilievo e vanno comunque esaminate in prima linea. Sia perché il parlamento ne rappresenta il titolare naturale, sia perché la costituzione le considera in termini abbastanza dettagliati; tuttavia resta fermo che le une e le altre non sono nettamente staccate e contrapposte, ma si sovrappongono a vicenda. Inoltre può dirsi ormai dominante l’avviso che anche le funzioni legislative, e non soltanto le funzioni ispettive, concorrano nella loro totalità alla determinazione dell’indirizzo politico: sia perché la legislazione è normalmente libera e dunque politica per definizione; sia perché il nostro ordinamento ha strutture portanti che sono in gran parte legislative.
Conviene ricordare che la nozione di procedimento, riferita all’attività legislativa, è stata mutuata dal diritto amministrativo: nell’ambito del quale si parla di procedimenti per designare fenomeni analoghi a quelli che il diritto processuale denomina processi. In tutti e tre questi campi il procedimento non è altro che una serie giuridicamente preordinata di atti e di attività dovuti a soggetti diversi, al termine della quale si produce in determinato atto perfetto ed efficace.
Qualora però, tutti gli atti compresi nella serie fossero egualmente costitutivi dell’effetto finale, non ricorrerebbe ancora la figura del procedimento, ma si dovrebbe piuttosto parlare di un atto complesso, nascente dal concorso delle volontà di più soggetti. Affinché il procedimento sia precisamente tale, occorre invece che l’iter risulti suddiviso in più fasi. L’iter formativo delle leggi si presenta maggiormente articolato, perché nel suo seno si devono distinguere almeno tre fasi: quella dell’iniziativa, quella propriamente costitutiva che si sostanzia dell’approvazione e quella formalmente percettiva ed integrativa dell’efficacia dell’atto, che ricomprende al promulgazione e la pubblicazione.
Vero è che tutte le forme di iniziativa attualmente esistenti, fatta eccezione per quella parlamentare, sono a loro volta il frutto di un complesso procedimento, distinto da quello legislativo. Così per esempio i disegni di legge governativi nascono da un iter che vede concorrere i singoli ministri interessati. Ma il fatto che sia lecito parlare di appositi procedimenti per l’iniziativa delle leggi non toglie che il procedimento legislativo propriamente detto non possa iniziarsi se non sulla base di un disegno, presentato ad una delle camere; ed è in quest’ultimo senso, con riguardo al momento finale della serie di atti e di attività nella quale si concreta l’iniziativa stessa, che si può trattarne come della prima fase dell’iter formativo delle leggi.
Che l’iniziativa faccia parte del procedimento legislativo è stato però messo in dubbio; cioè ricostruendo il procedimento come quella serie in cui le varie fasi sarebbero concatenate necessariamente, in quanto la conclusione di ciascuna di esse renderebbe indispensabile avviare e concludere la fase successiva, anziché rappresentarne un puro e semplice precedente temporale.
Simili concatenazioni sono indubbiamente peculiari di vari procedimenti non legislativi; ma non sembrano caratterizzare la formazione delle leggi. Per questo motivo taluno a pensato di dover estromettere la presentazione dei disegni di legge dall’iter formativo delle leggi.
Sicuramente fondata è invece la premessa del discorso, ossia che la presentazione di un disegno di legge consente alle Camere di passare alla fase approvativi ma non le obbliga a farlo. Vero è che le stesse norme regolamentari si limitano a vincolare le commissioni, prevedendo che alla scadenza dei termini loro assegnati il progetto di legge possa essere senz’altro “iscritto all’ordine del giorno dell’assemblea” o “preso in considerazione, in sede di programmazione dei lavori” del plenum; ed anche in questo senso accade che tali precetti non siano concretamente sanzionati, sicché la maggioranza dei disegni non viene affatto portata all’esame delle camere.
La prassi dell’insabbiamento trova la sua giustificazione ultima nel principio di autonomia. In altri termini, ciascuna camera, essendo titolare di funzioni politiche da esercitare con il massimo grado possibile di libertà, deve poter disporre del proprio ordine del giorno. E ne dispone non soltanto in via di prassi, ma sulla base di norme ben precise.
Coerentemente, decisiva ai fini dell’esame o dell’insabbiamento di un progetto è la circostanza che il programma ne disponga o meno l’inserimento nel calendario dei lavori. Del resto non potrebbe essere altrimenti, se si considera che le assemblee parlamentari non sono concretamente in grado di esaminare tutti i disegni di legge; sicché l’esame in questione è necessariamente il frutto di un’insindacabile scelta politica, mentre l’iniziativa svolge solo una indispensabile “funzione di stimolo”.
In primo luogo la presentazione di un progetto di legge obbliga il presidente di ciascuna camera ad assegnarlo alla commissione competente per materia. In secondo luogo, i progetti stessi identificano nelle grandi linee gli oggetti sui quali le camere dovranno pronunciarsi, sempre che pervengano al voto finale. In terzo luogo, gli atti in discussione non sono scollegabili da quelli che attengono alla medesima materia: giacché la commissione è tenuta ad effettuarne un esame congiunto o abbinato.