La NASpI è finanziata con contributi posti a carico dei datori di lavoro, che sono stati incrementati per sopperire alla contestuale riduzione della spesa pubblica destinata agli ammortizzatori sociali. Innanzitutto, è previsto un contributo ordinario pari all’1,31% della retribuzione imponibile a fini previdenziali per ogni lavoratore subordinato, compresi gli apprendisti e i soci lavoratori di cooperativa, ferme restando alcune particolari riduzioni del costo del lavoro. Inoltre, in aggiunta al contributo ordinario, è previsto un contributo addizionale pari all’1,41% della retribuzione imponibile a fini previdenziali soltanto per i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato, inclusi quelli assunti con contratto di somministrazione ed esclusi, invece, i lavoratori stagionali, quelli assunti per sostituire lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto e i dipendenti delle pubbliche amministrazioni.
Il contributo addizionale è, però, interamente restituito ai datori di lavoro quando il contratto a termine sia trasformato in contratto a tempo indeterminato o quando il datore di lavoro assuma il lavoratore con contratto a tempo indeterminato entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto a termine. La ratio di tali previsioni è quella di favorire la stabilità dell’impiego, rendendo più costoso il ricorso al lavoro a termine, ma anche di rafforzare il meccanismo assicurativo della NASpI, essendo i lavoratori a termine maggiormente esposti al rischio disoccupazione. Infine, è previsto che la nuova assicurazione sia finanziata, oltreché dal contributo ordinario e da quello addizionale, anche da un ulteriore contributo che è dovuto dal datore di lavoro in tutte le ipotesi di interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le “causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto all’ASPI”.
Non è chiaro se tale contributo sia dovuto anche in ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo e giusta causa. L’interpretazione fino ad ora prevalente ritiene che tale ulteriore contributo sia dovuto anche nelle ipotesi di licenziamento disciplinare, in quanto anche in tale ipotesi, analogamente a quanto la Corte costituzionale aveva già affermato per la indennità di maternità, si ritiene sussistente il diritto del lavoratore alla NASpI. In ogni caso, questo ulteriore contributo è determinato in misura pari al 41% dell’importo mensile massimale della NASpI per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni. Se il licenziamento è collettivo, dal 1 gennaio 2017 il contributo è dovuto in misura triplicata nel caso in cui la procedura sindacale non si concluda con un accordo tra le parti.
Le forti tensioni occupazioni determinate dalle attuali difficoltà delle imprese hanno imposto al legislatore di prevedere un periodo transitorio nel quale sono mantenuti in vigore alcuni dei più favorevoli trattamenti previsti dalla disciplina previgente. Così, il diritto alla indennità privilegiata di mobilità, con il relativo sistema di finanziamento, è stato conservato fino al 31 dicembre 2016, anche se ne è stata ridotta progressivamente la durata nel quadriennio 2013-2016, fino al definitivo assorbimento della nuova assicurazione.
Inoltre, sono stati prorogati, sempre fino al 31 dicembre 2015, anche i cd. ammortizzatori sociali in deroga, già da qualche anno utilizzati efficacemente dal legislatore per fronteggiare tempestivamente le crisi di impresa ed il loro impatto sui lavoratori. In particolare, anche per gli anni 2013-2016, è stata prevista la possibilità per il Ministro del lavoro, di concerto con quello dell’economia, di concedere entro limiti di spesa prefissati e per un periodo non superiore a 12 mesi, trattamenti di integrazione salariale e di mobilità anche in deroga alla normativa vigente.