La legge 214 del 2011 ha previsto nuovi requisiti per il diritto a pensione di vecchiaia, sia per quanto riguarda l’età anagrafica (cd. età pensionabile) che la contribuzione (cd. anzianità contributiva). Soltanto in alcune ipotesi si continuano ad applicare le regole previste dalla disciplina previgente, al fine di tutelare le aspettative di quei lavoratori che erano più vicini alla maturazione del diritto a pensione. Per quanto riguarda l’età anagrafica, in base alla disciplina in vigore dal 1 gennaio 2012, ai fini della maturazione della pensione di vecchiaia, è necessario aver compiuto: a) almeno 66 anni, per i lavoratori del settore pubblico e privato, e per le lavoratrici del settore pubblico; b) almeno 62 anni, con un aumento graduale fino a 66 nel 2018, per le lavoratrici del settore privato.
Con cadenza triennale, e biennale a partire dal 2022, i requisiti di età anagrafica sono adeguati automaticamente all’aumento della speranza di vita. Per effetto di tale adeguamento, dal 1 gennaio 2016, al fine di conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia, è richiesto, a tutti i lavoratori e alle lavoratrici del settore pubblico, il raggiungimento di almeno 66 anni e 7 mesi. In ogni caso, la legge ha già previsto che dal 2021 l’età minima sarà, comunque, per tutti di almeno 67 anni. La legge, inoltre, incentiva i lavoratori a proseguire l’attività lavorativa anche oltre il compimento dell’età minima, fino all’età di 70 anni.
A tal fine, sono, anzitutto, previsti dei coefficienti di trasformazione periodicamente aggiornati, che assicurano prestazioni di importo superiore quanto più elevata è l’età del pensionamento. Un ulteriore incentivo a proseguire il rapporto di lavoro, oltre il raggiungimento del requisito anagrafico minimo, è costituito dalla previsione dell’applicazione della tutela contro i licenziamenti illegittimi di cui all’articolo 18 della legge 300 del 1970 fino al limite massimo di 70 anni.
Le Sezioni Unite della Cassazione hanno, però, affermato che tale previsione non attribuisce al lavoratore il “diritto potestativo” di proseguire il rapporto di lavoro fino al raggiungimento del settantesimo anno di età. Per quanto riguarda il requisito della contribuzione è previsto, di regola, un minimo di 20 anni di anzianità contributiva. È necessario, tuttavia, che l’ammontare dei contributi versati determini l’erogazione di un importo pensionistico che sia superiore a 1,5 volte l’assegno sociale, annualmente rivalutato.
Nel caso in cui il lavoratore non abbia maturato i 20 anni di contribuzione, o i contributi versati non siano sufficienti a determinare l’erogazione di un importo pensionistico superiore al limite ora ricordato, il diritto a pensione di vecchiaia si consegue quando si raggiunge l’età di 70 anni, sempreché siano stati maturati almeno 5 anni di contribuzione effettiva, esclusi quindi i contributi figurativi. In questo modo, si può ritenere che il legislatore abbia parzialmente compensato la soppressione della garanzia dell’integrazione al trattamento minimo per le pensioni calcolate con il sistema contributivo.
Resta, però, che nell’ipotesi in cui il lavoratore non raggiunga il requisito contributivo minimo per avere diritto a pensione, egli “perde” la contribuzione versata, e potrà eventualmente fruire dell’assegno sociale previsto a favore di tutti i cittadini residenti in Italia che abbiano compiuto 65 anni e che si trovino in disagiate condizioni economiche. In via generale, la pensione di vecchiaia decorre dal mese successivo a quello di maturazione del diritto, previa la cessazione del rapporto di lavoro e la presentazione della domanda.
La legge ha abolito, sia per la pensione di vecchiaia che per gli altri trattamenti pensionistici, le cd. finestre mobili (o di uscita), ossia le norme che imponevano date predeterminate nel corso dell’anno in cui poter ottenere la liquidazione della pensione. L’imposizione di tali “finestre”, infatti, è stata lo strumento con il quale spesso in passato veniva aumentata indirettamente l’età pensionabile, avendo l’effetto di posticipare ulteriormente la decorrenza della pensione già maturata. Salve alcune residue limitazioni, la pensione di vecchiaia è cumulabile con i redditi da lavoro autonomo e dipendente, in quanto il legislatore ha progressivamente eliminato i vincoli alla possibilità di cumulo della pensione con altri redditi.