Il procedimento che regola l’esercizio del potere disciplinare è interamente e minuziosamente disciplinato dalla legge. Il procedimento disciplinare deve essere avviato direttamente dal responsabile della struttura, se questi è in possesso della qualifica dirigenziale, nel caso in cui abbia notizia di comportamenti da parte di un dipendente della sua struttura che siano punibili con una sanzione disciplinare di minore gravità (e, cioè, superiore al rimprovero verbale ed inferiore alla sospensione dal servizio e dalla retribuzione per più di 10 giorni).

Ove, invece, il responsabile della struttura non abbia qualifica dirigenziale o la sanzione applicabile sia di maggiore gravità, il provvedimento disciplinare è avviato da un apposito “ufficio competente per i procedimenti disciplinari”, al quale il predetto responsabile è tenuto a trasmettere gli atti entro 5 giorni dalla notizia del comportamento ritenuto sanzionabile, dandone contestuale comunicazione al lavoratore interessato. In entrambe le ipotesi, i principi regolatori del procedimento sono identici, ma nella seconda sono previsti termini pari al doppio di quelli applicabili alla prima.

La contestazione dell’addebito deve essere fatta per iscritto e deve essere tempestive (e, cioè, nella prima ipotesi non oltre 20 giorni dalla data in cui il dirigente ha avuto notizia del comportamento, e, nella seconda, non oltre 40 giorni dalla data in cui “l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari” ha ricevuto gli atti o abbia altrimenti acquisito la notizia dell’infrazione); il dipendente deve essere convocato per consentirgli di esercitare la sua difesa, ed ha diritto di farsi assistere da un procuratore o da un rappresentante sindacale; se non intende presentarsi, il lavoratore ha diritto di difendersi per iscritto o, in caso di grave ed oggettivo impedimento, può chiedere una sola volta il differimento della convocazione; il procedimento deve essere chiuso con l’atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione entro 60 o 120 giorni, i quali decorrono, rispettivamente, dalla contestazione dell’addebito (ove effettuata dal dirigente della struttura) e dalla data della prima acquisizione della notizia dell’infrazione (nel caso della contestazione effettuata “dall’ufficio competente per i procedimenti disciplinari”); questi ultimi termini sono prorogabili in misura corrispondente al differimento eventualmente richiesto dal lavoratore per la sua audizione.

Tutti i termini del procedimento sono perentori, poiché la loro violazione comporta, per l’amministrazione, la decadenza dall’azione disciplinare e, per il dipendente, la decadenza dall’esercizio del diritto di difesa. Il mancato esercizio o la decadenza dall’azione disciplinare, dovuti all’omissione o al ritardo, senza giustificato motivo, degli atti del procedimento disciplinare o a valutazioni sull’insussistenza dell’illecito disciplinare irragionevoli o manifestamente infondate, in relazione a condotte aventi oggettiva e palese rilevanza disciplinare, comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione in proporzione alla gravità dell’infrazione non perseguita, fino ad un massimo di 3 mesi in relazione alle infrazioni sanzionabili con il licenziamento.

È in via di approvazione un inasprimento di tali sanzioni con riguardo al caso in cui il dirigente ometta di avviare l’azione disciplinare nei confronti del dipendente assenteista: è previsto, infatti, che in tale caso il dirigente può essere licenziato, ed il suo comportamento può essere valutato penalmente rilevante, come omissione di atti di ufficio. Al medesimo fine, è prevista la sanzione della sospensione dal servizio e dalla retribuzione, fino al massimo di 15 giorni, per il dipendente o dirigente, appartenente alla stessa amministrazione pubblica dell’incolpato o ad una diversa, che, essendo a conoscenza per ragioni di ufficio o di servizio di informazioni rilevanti per un procedimento disciplinare in corso, rifiuta, senza giustificato motivo, la collaborazione richiesta dall’autorità disciplinare procedente ovvero rende dichiarazioni false o reticenti.

Correlativamente sono state introdotte norme a tutela del dipendente pubblico il quale segnali illeciti, commessi da altri dipendenti (cd. whistleblowing). Ed infatti, è garantito, nei limiti del possibile, l’anonimato, ed è escluso che il lavoratore possa subire, anche in modo indiretto, qualsivoglia effetto negativo dalla denuncia, esclusi i soli casi di responsabilità per calunnia o diffamazione, ovvero a titolo di responsabilità per illecito extracontrattuale.

La contrattazione collettiva non può istituire procedure di impugnazione stragiudiziale dei provvedimenti disciplinari. Ad essa è consentito soltanto disciplinare procedure di conciliazione non obbligatoria, ad eccezione dei casi riguardanti comportamenti punibili con il licenziamento, le quali devono essere concluse entro 30 giorni dalla contestazione dell’addebito e comunque prima dell’irrogazione della sanzione. Nell’ambito di tali procedure, il lavoratore può raggiungere un accordo sulla sanzione da applicare, che può essere di misura inferiore, ma non di specie diversa, rispetto a quella prevista per l’infrazione per la quale si procede.

Coerentemente, la sanzione in tal modo “patteggiata” non è soggetta ad impugnazione. Infine, è stata introdotta una nuova regolamentazione dei rapporti tra procedimento disciplinare e processo penale. Il legislatore dispone che il procedimento disciplinare sia proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale avente ad oggetto, in tutto o in parte, gli stessi fatti.

La sospensione del procedimento disciplinare, fino alla conclusione di quello penale, è consentita in via facoltativa, ad eccezione delle infrazioni di minore gravità, nei soli casi di particolare complessità dell’accertamento del fatto addebitato al dipendente e quando all’esito dell’istruttoria l’ufficio competente non disponga di elementi sufficienti a m0tivare l’irrogazione della sanzione. In ogni caso, il giudizio disciplinare deve essere ex post conformato agli esiti del giudizio penale. Quindi, se il procedimento disciplinare, non sospeso, si è concluso con un provvedimento di segno diverso rispetto al giudizio penale, esso deve essere riaperto, entro un termine perentorio, al fine di adeguarne gli esiti a quelli del giudicato penale.

 

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