In alternativa al congedo di maternità della lavoratrice madre, è riconosciuto al lavoratore padre un congedo di paternità, che, però, ha caratteristiche diverse. Esso, infatti, spetta esclusivamente nei casi in cui la madre non possa assolvere alle sue funzioni (morte, gravità infermità, abbandono, affidamento esclusivo del bambino al padre). Inoltre, il lavoratore ha la facoltà, ma non l’obbligo, di fruire del congedo di paternità, poiché nel suo caso non ricorrono le ragioni di tutela della salute che, per la madre, giustificano l’imposizione di un divieto di lavoro.
Ove si avvalga di tale diritto, il lavoratore padre gode del medesimo trattamento economico, normativo e previdenziale previsto per il congedo di maternità. Il congedo di paternità è stato, da ultimo, riconosciuto al lavoratore padre anche nell’ipotesi in cui la madre sia lavoratrice autonoma o imprenditrice agricola. In via sperimentale, al fine di promuovere una maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, è stato previsto che, in aggiunta al congedo di maternità della lavoratrice madre, il lavoratore padre entro i 5 mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per due giorni (si tratta, quindi, di un congedo obbligatorio). Inoltre, egli ha la facoltà di fruire di due ulteriori giorni di congedo, previo accordo con la madre e, in tale ipotesi, in sostituzione di due corrispondenti giorni di congedo spettanti a quest’ultima.
Per i primi 12 anni di vita del bambino, è riconosciuto ad entrambi i genitori il diritto di fruire di congedi, definiti “parentali”, per un periodo complessivo di dieci mesi. La legge intende stimolare la ripartizione tra i due genitori dell’esercizio di tale diritto, e, in particolare, l’utilizzo del congedo anche da parte del lavoratore padre (storicamente e culturalmente meno disponibile ad assentarsi dal lavoro per la cura delle esigenze del bambino).
Quindi, è previsto che ciascun genitore non possa usufruire di un periodo di congedo superiore a 6 mesi (salvo il caso in cui, essendovi un solo genitore, il periodo complessivo di 10 mesi è interamente di sua spettanza) ed è, altresì, previsto che, nel caso in cui il padre eserciti il diritto di astenersi dal lavoro per un periodo non inferiore a 3 mesi, il suo limite individuale è elevato a 7 mesi e quello complessivo ad 11 mesi. Tuttavia, la legge prevede per i congedi parentali una tutela economica ridotta, sia per quanto riguarda l’importo, sia per quanto riguarda il periodo di erogazione. Una misura sperimentale finalizzata a favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro prevede la possibilità di concedere alla lavoratrice madre la corresponsione di voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting o per fare fronte agli oneri dei servizi per l’infanzia.
A sostegno dei genitori di minore con handicap grave, inoltre, sono previste disposizioni di miglior favore, sia per quanto riguarda i congedi parentali, sia per quanto riguarda i riposi giornalieri ed altri permessi. Infine, è riconosciuto ad entrambi i genitori il diritto di astenersi dal lavoro, alternativamente, per l’intera durata della malattia del figlio di età non superiore a 3 anni. Superata tale età, quel diritto è riconosciuto fino all’ottavo anno del bambino nel limite di 5 giorni lavorativi l’anno. Il rifiuto, l’opposizione o l’ostacolo all’esercizio del diritto di fruire i riposi giornalieri, i congedi parentali e i congedi per la malattia del bambino sono puniti con sanzioni amministrative.