Esclusi i casi in cui è consentita la somministrazione di lavoro, continua ad operare un generale divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro. Anzitutto, quando la somministrazione è effettuata in modo abusivo o irregolare, sono previste, a seconda della gravità della violazione, sanzioni penali ed amministrative. Inoltre, per quanto riguarda le conseguenze sul rapporto di lavoro, la mancanza della forma scritta del contratto di somministrazione determina la nullità di quest’ultimo, con la conseguenza che “i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore”.

La violazione, invece, delle disposizioni relative ai limiti quantitativi, alle ipotesi di divieto della somministrazione, ed agli elementi più rilevanti che il contratto di somministrazione deve contenere, comporta il diritto del lavoratore di chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze dell’utilizzatore, con effetto dall’inizio della somministrazione.

In questa ultima ipotesi, i pagamenti effettuati dal somministratore per retribuzioni e contributi si intendono effettuati dall’utilizzatore. Allo stesso modo, gli atti relativi alla costituzione e alla gestione del rapporto, i quali siano stati compiuti o ricevuti dal somministratore, si intendono compiuti o ricevuti dall’utilizzatore. Tranne che nell’ipotesi della mancanza della forma scritta del contratto, la richiesta della costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore è sottoposta ad un termine di decadenza e ad un regime risarcitorio analoghi a quelli previsti nel caso di richiesta di trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato.

Il termine di decadenza per l’impugnazione, che può essere proposto anche con atto stragiudiziale, è, però, di 60 giorni e decorre dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore, essendo, quindi, irrilevante che abbia proseguito o no il rapporto con il somministratore. Identici, invece, sono sia l’importo minimo e massimo dell’indennità spettante a titolo di risarcimento del danno, sia la sua funzione di integrale ristoro di ogni pregiudizio subito dal lavoratore.

Inoltre, il legislatore ha mantenuto il divieto, penalmente sanzionato, di appalto di mere prestazioni di lavoro. A questi fini, il legislatore ha precisato che gli elementi idonei a distinguere l’appalto di cui all’articolo 1655 del codice civile (che ha ad oggetto la realizzazione di opere o servizi, e non già la fornitura di mere prestazioni di lavoro) dalla somministrazione di lavoro sono due: da un lato, l’organizzazione dei mezzi necessari per l’esecuzione dell’opera o del servizio deve essere predisposta e gestita dall’appaltatore; d’altro lato, il rischio di impresa, relativo all’esecuzione dell’opera o del servizio, deve essere assunto dall’appaltatore stesso.

Quando l’appalto non ha tali requisiti, configura somministrazione illecita di lavoro ed il lavoratore può chiedere la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione. Anche in tale ipotesi, trovano applicazione le disposizioni che, in materia di somministrazione, regolano l’onere di impugnazione e il risarcimento del danno dovuto al lavoratore in caso di costituzione del rapporto di lavoro con l’utilizzatore della prestazione.

 

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