Ai sensi dell’articolo 2049 del codice civile, il contratto di lavoro subordinato intercorre, tipicamente, tra il lavoratore e il titolare dell’impresa nella quale il primo presta la propria collaborazione, secondo le direttive che lo stesso imprenditore impartisce. Conseguentemente, l’articolo 2127, comma 1 del codice civile, prevedeva un divieto di interposizione, in base al quale l’imprenditore non poteva “affidare a propri dipendenti lavori a cottimo da eseguirsi da prestatori di lavoro assunti o retribuiti direttamente dai dipendenti medesimi”.

Questo specifico divieto fu, poi, ampliato e reso di portata generale ad opera della legge 1369 del 1960, che proibì qualsiasi forma di intermediazione nelle prestazioni di lavoro, sancendo la regola che i prestatori di lavoro occupati in violazione del divieto “sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni”. In sostanza, il legislatore ha vietato che l’imprenditore potesse servirsi di intermediari, qualunque sia lo strumento utilizzato per eludere le proprie obbligazioni nei confronti di chi collabora (in modo subordinato) nella sua impresa.

L’evoluzione dei rapporti sociali ed economici ha evidenziato, però, alcune rigidità derivanti dalla legge 1369 del 1960. L’attività di intermediazione nella fornitura di prestazioni di lavoro, ove svolta professionalmente e regolata da idonee garanzia e cautele, può infatti costituire un servizio idoneo a svolgere una funzione di promozione occupazionale e di inserimento lavorativo, senza ledere i diritti dei lavoratori.

E così, è stata consentita anche in Italia, entro limiti e con condizioni rigorosamente determinati, la “fornitura di lavoro temporaneo” o, come ora viene denominata, la “somministrazione di lavoro”, che può essere sia a tempo indeterminato (cd. staff leasing) che a tempo determinato. Con il contratto di somministrazione di lavoro, un soggetto autorizzato (“agenzia di somministrazione”) mette a disposizione di altro soggetto (“utilizzatore”) propri dipendenti, i quali, per tutta la durata del periodo di messa a disposizione (“missione”), “svolgono la propria attività nell’interesse, e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”.

Possono essere autorizzati soltanto i soggetti che dimostrino di essere in possesso dei rigorosi requisiti giuridici e finanziari richiesti dalla legge a garanzia di serietà e solvibilità. Nonostante le polemiche e le diffidenze che avevano accompagnato l’introduzione della somministrazione, la possibilità del suo utilizzo, nel corso degli ultimi anni, è stata gradualmente estesa. Attualmente, per il ricorso alla somministrazione, così come per il contratto di lavoro a tempo determinato, la disciplina non richiede più alcuna giustificazione “causale” e prevede un limite esclusivamente quantitativo.

I lavoratori somministrati a tempo indeterminato, infatti, non possono eccedere il 20% dei dipendenti a tempo indeterminato dell’utilizzatori, salva l’eventuale diversa previsione dei contratti collettivi applicati da quest’ultimo. Per la somministrazione a tempo determinato, invece, la determinazione dei limiti quantitativi è rimessa direttamente ai contratti collettivi, ma da tali limiti è comunque esente la somministrazione di lavoratori in mobilità, di disoccupati che godono, da almeno 6 mesi, di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, di lavoratori considerati “svantaggiati” o “molto svantaggiati”.

Anche per la somministrazione, però, è previsto un divieto di contenuto analogo a quello stabilito per il contratto a termine. Precisamente, il contratto di somministrazione è vietato: per sostituire lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; presso le unità produttive ove si sia proceduto, nei 6 mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione (salvo il caso in cui tale contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti o abbia una durata iniziale non superiore a 3 mesi); presso le unità produttive ove si sia proceduto a sospensioni del rapporto o a riduzioni dell’orario di lavoro con diritto al trattamento di integrazione salariale riguardanti lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione; per i datori di lavoro che non effettuano la “valutazione dei rischi”.

Inoltre, la legge detta regole con riguardo sia al contenuto del contratto di somministrazione, sia al rapporto di lavoro dei lavoratori somministrati. Il contratto di somministrazione, che intercorre tra il somministratore e l’utilizzatore, deve contenere l’indicazione di alcuni elementi, tra i quali assumono particolare rilievo gli estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore, il numero dei lavoratori da somministrare, l’indicazione di eventuali rischi per la salute e la sicurezza e le misure di prevenzione adottate, la data di inizio e la durata prevista della somministrazione.

Il somministratore è, poi, tenuto a comunicare per iscritto al lavoratore le informazioni relative a tali elementi, insieme dalla data di inizio ed alla durata presumibile della missione, all’atto stesso della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all’atto dell’invio in missione. Per quanto riguarda il rapporto di lavoro con l’agenzia di somministrazione, ai lavoratori assunti a tempo indeterminato trova applicazione l’ordinaria disciplina di legge.

Le uniche disposizioni speciali prevedono: che i lavoratori hanno diritto ad una indennità di disponibilità per i periodi in cui essi rimangono in attesa di essere inviati in missione, nella misura determinata dal contratto collettivo applicabile al somministratore e, comunque, non inferiore all’importo fissato con decreto ministeriale; che non si applicano le disposizioni in materia di licenziamenti collettivi nel momento in cui la somministrazione a tempo indeterminato abbia cessazione. Nel caso, invece, di assunzione con contratto di lavoro a tempo determinato si applica la disciplina che regola tale contratto, ma con importanti eccezioni.

In particolare, non si applicano le disposizioni in materia di durata massima del rapporto, di proroghe e riassunzioni, di numero complessivo di contratti e di diritti di precedenza. La proroga del termine, per la quale è richiesto il consenso del lavoratore e l’atto scritto, è consentita nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore. Una disciplina specifica regola, poi, i diritti e gli obblighi delle parti in relazione a ciascun periodo di missione.

Durante tale periodo, i lavoratori somministrati hanno diritto al riconoscimento di condizioni economiche e normative “complessivamente” non inferiori a quelle dei dipendenti dell’utilizzatore, ivi compresa la fruizione dei servizi sociali e assistenziali di cui questi ultimi eventualmente godano. I contratti collettivi possono, inoltre, stabilire modalità e criteri per la determinazione di eventuali erogazioni economiche correlate ai risultati conseguiti o all’andamento economico dell’impresa. Ai lavoratori, inoltre, è riconosciuto il diritto di esercitare i diritti di libertà e di attività sindacale presso l’utilizzatore, compresa la partecipazione alle assemblee del personale di quest’ultimo.

Nella loro posizione di dipendenti delle agenzie di somministrazione, inoltre, essi restano tito0lari di tutti i diritti sindacali previsti dalla legge 300 del 1970. Sul somministratore, quale datore di lavoro, gravano tutti gli obblighi retributivi e contributivi, ma, a garanzia della soddisfazione dei crediti del lavoratore, è prevista l’obbligazione solidale dell’utilizzatore, con diritto di rivalsa nei confronti del somministratore che non abbia adempiuto.

Il somministratore ha, altresì, l’obbligo di informare i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute, anche se il contratto di somministrazione può prevedere l’adempimento di tale obbligo da parte dell’utilizzatore. Su quest’ultimo incombono, in ogni caso, gli ordinari obblighi di prevenzione e protezione previsti dalla legge e dal contratto collettivo. L’utilizzatore risponde in via esclusiva delle conseguenze derivanti dall’adibizione del lavoratore a mansioni di livello superiore o inferiore (e, cioè, del diritto avente ad oggetto, rispettivamente, le differenze retributive o il risarcimento del danno), salvo che di tale adibizione abbia dato immediata comunicazione scritta al somministratore.

Risponde, altresì, dei danni che il lavoratore abbia arrecato a terzi nello svolgimento delle sue mansioni. L’utilizzatore non è titolare del potere disciplinare e, di conseguenza, eventuali infrazioni compiute dal lavoratore devono essere comunicate al somministratore perché questi possa formulare la contestazione. È sancita la nullità di ogni clausola diretta a limitare, anche indirettamente, la facoltà dell’utilizzatore di assumere il lavoratore al termine della sua missione, salvo il caso in cui allo stesso lavoratore sia corrisposta una adeguata indennità secondo quanto stabilito dal contratto collettivo applicabile al somministratore.

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